La lacerazione del sacco amniotico, con la conseguente rottura delle acque, si verifica quando le membrane di cui si compone vengono premute con forza dalla parte del corpo del feto che “si presenta” (ovvero si incunea nel bacino della donna) per predisporsi alla nascita (di solito la testa, per cui si parla di presentazione cefalica).
Le contrazioni dell’utero aumentano, infatti, la pressione del liquido amniotico e lo spingono verso il basso a forzare le pareti del sacco amniotico che, non avendo più il sostegno del collo (la parte inferiore) dell’utero, ormai accorciato e dilatato, si rompono, lasciando defluire il liquido amniotico..
Si possono distinguere vari casi:
- rottura tempestiva, quando avviene all’apice di una contrazione, a dilatazione quasi completa; solo in questo caso, di norma, la gestante è già in ospedale;
- rottura precoce, quando si verifica nelle fasi precoci del travaglio;
- rottura prematura quando avviene prima dell’inizio del travaglio oppure prima del termine di gravidanza;
- rottura alta, quando si verifica una piccola lacerazione nella parte alta delle membrane; occasionalmente può fuoriuscire una quantità scarsa di liquido.
A volte, invece, la rottura delle membrane non si verifica spontaneamente e allora bisogna provocarla (amnioressi) per dare avvio al travaglio di parto.
L’amnioressi consiste nella rottura artificiale della membrane mediante uno strumento detto amniotomo. Serve a favorire l’insorgenza o l’accelerazione del travaglio di parto. Viene praticata anche quando occorre far nascere il piccolo in anticipo, in caso per esempio di una sofferenza fetale o di un disturbo serio della mamma.
Un segnale che stanno per rompersi le acque è dato dalla discesa del pancione. Verso la fine della gravidanza, l’addome perde la classica conformazione rotonda e assume un aspetto “a pera”, più basso e con una punta accentuata. È il segno che il corpo della donna si sta preparando al parto. Il bambino, infatti, ha assunto la posizione a testa in giù, con il capo incuneato tra le ossa pubiche e il sederino rivolto verso l’alto e, spingendo, esercita una pressione tale da indurre il sacco amniotico a lacerarsi. Spesso compare anche un maggior bisogno di urinare. Lo stimolo a fare la pipì, per la verità, si avverte fin dai primi mesi della gestazione, ma nelle ultime settimane diventa un’esigenza ancora più intensa a causa della pressione che la testa del bambino, rivolta verso il canale del parto, esercita sulla vescica.
Quando si rompono le acque la donna avverta di solito una specie di sgocciolio e una perdita di liquido caldo inodore e trasparente (quindi è impossibile confonderlo con la pipì). Più rara è la sensazione di getto improvviso e abbondante in quanto, in questa fase, la testa del bambino è, in genere, già profondamente situata nella cavità del bacino e tende ad arginare questa fuoriuscita, facendo da “tappo”.
In genere, la rottura del sacco amniotico avviene durante la fase attiva” del travaglio, quando la dilatazione è quasi completa (6- 7 cm), quindi tra le 38a e la 40a settimana, ossia nell’intervallo di tempo in cui si considera la gravidanza a termine. Si parla, in questo caso, di rottura spontanea o tempestiva.
Più raramente, invece, la rottura delle acque può verificarsi prima dell’inizio del travaglio, talvolta anche con un anticipo di qualche settimana rispetto al termine della gravidanza. Non appena avviene è, comunque, necessario trasferirsi in ospedale, perché il bambino sta per nascere.
Se, durante il travaglio, non si verifica la rottura spontanea delle acque si pratica l’amnioressi. Questa tecnica consiste nell’introdurre uno strumento sottile, simile a un uncinetto, nella vagina allo scopo di provocare un foro nelle membrane del sacco amniotico e consentire la fuoriuscita delle acque. Si tratta in genere di un intervento indolore, in quanto le membrane sono insensibili.
Le contrazioni dell’utero aumentano la pressione del liquido amniotico e lo spingono verso il basso a forzare le pareti del sacco amniotico che, non avendo più il sostegno del collo (la parte inferiore) dell’utero, ormai accorciato e dilatato, si rompono, lasciando fuoriuscire il liquido amniotico.
Il liquido amniotico è il liquido incolore contenuto nel sacco amniotico in cui il feto galleggia nel corso della sua permanenza in utero. La sua composizione è molto simile a quella del plasma (la parte liquida del sangue) e il suo ricambio nei nove mesi è garantito dalla continua produzione e ingestione fetale.
Quando le membrane si rompono, dunque, esce il liquido amniotico in cui sono presenti le prostaglandine, sostanze prodotte dall’organismo della mamma e del bambino, che stimolano le contrazioni. Nel travaglio la cosiddetta “borsa delle acque”, che si forma tra la testa (o, se podalico, il sederino) del piccolo e il collo dell’utero, contribuisce a stimolare la dilatazione di quest’ultimo. Infine, durante l’espulsione del bebè lungo il canale del parto, esso svolge la funzione di lubrificante favorendone la fuoriuscita.
Quando si verifica la rottura delle acque, è importante controllare che il liquido amniotico sia trasparente: questa colorazione indica, infatti, una condizione di “benessere fetale”, mentre se il liquido appare di un colore tendente al verde o al giallo (cosiddetto liquido tinto) , si è in presenza di “sofferenza fetale” o di un’infezione amnio-coriale (corionamnionite).
Questa tinta più scura dipende dalla presenza nel liquido amniotico di meconio, materiale contenuto nell’intestino del neonato che, in genere, viene emesso entro le prime 24-48 ore dopo la nascita. In alcuni casi tale emissione avviene però già in utero: in particolare ciò tende a verificarsi nei bambini con ritardo di crescita intrauterina e in quelli post-termine (cioè che superano la 42a settimana di gestazione) o comunque laddove vi sia sofferenza fetale.
In caso di liquido tinto occorre andare subito in ospedale per far nascere il bambino, che viceversa potrebbe incorrere in una sofferenza fetale.
È anche necessario recarsi con urgenza in ospedale, in assenza di contrazioni regolari, se compaiono perdite di sangue, che potrebbero segnalare un problema legato all’iniziale e prematuro distacco della placenta: in questo caso è necessario un ricovero immediato con copertura antibiotica per evitare infezioni del liquido amniotico.
Non serve invece precipitarsi in ospedale – anzi è controproducente perché si rischia di essere mandate nuovamente a casa se:
- il liquido amniotico è trasparente
- non si sono ancora avviate le contrazioni vere, che si differenziamo da quelle della fase prodromica perché si ripetono anche a riposo.
Quali sono i sintomi della rottura delle acque?
La rottura delle acque può essere accompagnata/preceduta o meno da alcuni segnali, come per esempio la comparsa di contrazioni. Inoltre, la donna stessa può anche non accorgersi della rottura delle acque, perché essa può anche avvenire sotto forma di un lento sgocciolio che all’inizio può essere perfino scambiato per una perdita di pipì.
La rottura delle acque, però, a differenza della pipì, è inodore e incolore. Quindi è bene prestare attenzione a questo segnale.
Di solito, le prime contrazioni dell’utero (simili a crampi mestruali) iniziano a evidenziarsi già a cominciare dal 5°-6° mese di attesa. In realtà si tratta di “false contrazioni” (dette di Braxton-Hicks) finalizzate a predisporre l’utero al travaglio e caratterizzate da irregolarità, durata variabile, e assenza di dolore. Le contrazioni vere, invece, diventano via via più intense, efficaci e dolorose: si susseguono ogni 2-5 minuti e durano 50-60 secondi. Anche il dolore tende ad aumentare e a diffondersi in tutto l’addome e le cosce. Il collo dell’utero inizia a dilatarsi sempre più, passando da un minimo di mezzo centimetro a 9-10 cm.
Non esiste una gravidanza uguale all’altra e non esiste un parto uguale all’altro. E pure la sua durata non uguale in tutte le donne, può perfino variare nella stessa donna da uno all’altro!
Un discrimine importante, comunque, si può fare e riguarda le donne primipare (ossia al primo parto naturale) e quelle pluripare (ossia che hanno già avuto un figlio). Ecco in linea di massima i tempi del parto naturale:
donne primipare
- la fase iniziale (dilatante), che va dalle prime contrazioni alla dilatazione completa del collo (la parte inferiore) dell’utero, dura di solito 8-10 ore nelle primipare (cioè nelle donne al primo parto)
- la seconda fase (espulsiva), in cui si spinge assecondando il ritmo delle contrazioni per consentire la fuoriuscita del bebè, dura all’incirca un’ora nelle primipare.
donne pluripare
In questo caso i tempi sono normalmente più brevi, perché i tessuti sono più rilassati, la donna stessa si irrigidisce meno perché “sa” che cosa l’aspetta. Di conseguenza i tempi della fase dilatante di attestano intorno alle 7 ore, mentre la fase espulsiva si conclude in mezz’ora circa.
In ogni caso il primo segnale da tenere in considerazione per andare in ospedale è legato alla regolarità delle contrazioni (della durata di almeno 50-60 secondi, ogni cinque minuti). Tuttavia, se a donna è al primo parto, è meglio attendere almeno 2 ore per non correre il rischio di essere rimandate indietro perché è ancora troppo presto.
Il corpo fornisce alla donna indicazioni precise: alcuni segnali precedono il parto vero e proprio di alcuni giorni, altri solo di poche ore. Contrazioni intense e ravvicinate, perdite, dolori addominali, per esempio, indicano che il bambino è pronto per venire al mondo,
In una fase di pre-travaglio, invece, la futura mamma è soggetta a contrazioni poco dolorose, che si susseguono a intervalli irregolari e durano pochi minuti. Non causano dilatazione della cervice uterina. Queste contrazioni non sono altro che la conseguenza dello spostamento del bambino in un ambiente uterino ormai poco spazioso. La muscolatura uterina, molto sensibile, le coglie e le trasmette alla donna.
È possibile anche avvertire tensione e irrigidimento del collo dell’utero, ma la mancanza di dolore permette di distinguerle dalle contrazioni vere e proprie, intense e ravvicinate, tipiche del travaglio. Ecco in sintesi i segnali che possono precedere il parto.
Perdita del tappo mucoso
Si tratta di una sostanza filamentosa e di colore giallognolo che chiude il collo (cioè la parte inferiore) dell’utero. Il tappo mucoso impedisce il passaggio di batteri dalla vagina verso l’utero: quando quest’ultimo si modifica, dilatandosi e ammorbidendosi, il tappo mucoso si stacca e può venire espulso attraverso la vagina, accompagnato da qualche stria di sangue.
Anche se di solito le perdite significano che il collo dell’utero comincia a dilatarsi in preparazione al parto, talvolta possono manifestarsi anche diversi giorni prima dell’inizio del travaglio, senza però che il bimbo corra alcun pericolo. Se, infatti, subito dopo non si succedono contrazioni regolari via via più intense, le perdite non sono sinonimo di un parto imminente e quindi non è necessario precipitarsi in ospedale.
Le contrazioni “vere”
Si differenziano dalle “false” perché procedono a intervalli regolari di tempo, inizialmente ogni 30-15 minuti circa, poi diminuiscono l’intervallo fino ad arrivare a una ogni 5-7 minuti; quindi si susseguono da almeno un’ora ogni 5-7 minuti e la durata è di almeno 40-50 secondi. Una volta iniziate, non si interrompono e hanno pause sempre più brevi; inizialmente l’intervallo è lungo e la contrazione breve. Poi la situazione si inverte. il dolore diviene sempre più forte nel corso della contrazione (simile all’inizio a crampi mestruali per aumentare poi di intensità), mentre non si avverte tra una contrazione e l’altra. il cambiamento di posizione non influisce e le contrazioni permangono. Tutto l’addome si indurisce, provocando dolore. Per misurarle correttamente (e non confonderle con le false contrazioni) è bene avere sotto mano un orologio con le lancette dei secondi la durata della contrazione deve essere misurata da quando si inizia ad avvertire il dolore sino a quando finisce (per poi riprendere con la successiva contrazione). L’andamento può essere paragonato a “un’onda del mare”. Attenzione: le contrazioni vere possono iniziare anche due settimane prima della data presunta del parto indicata dal ginecologo.
Rottura del sacco amniotico
Un altro segnale che indica che il travaglio è iniziato è la rottura del sacco amniotico, o “perdita delle acque”, cioè la rottura della membrane che racchiudono il feto, il cordone ombelicale, la placenta e il liquido amniotico, dove è immerso il bebè.
Fonti / Bibliografia
- Travaglio di parto, quali sono le tecniche per avviarlo? - Humanitas San Pio XIl travaglio di parto può insorgere spontaneamente o per induzione. In questo secondo caso si ricorre ad alcune particolari tecniche, farmacologiche e non.
- Diagnosis and Management of Clinical Chorioamnionitis - PMCChorioamnionitis is a common complication of pregnancy associated with significant maternal, perinatal, and long-term adverse outcomes. Adverse maternal outcomes include postpartum infections and sepsis while adverse infant outcomes include stillbirth, ...