Neonato abbandonato: una scelta da rispettare

Silvia Huen A cura di Silvia Huen Pubblicato il 13/04/2023 Aggiornato il 13/04/2023

La notizia del bambino lasciato nella culla termica a Milano ha sollevato migliaia di critiche del tutto "gratuite", in quanto prive di fondamento. Nessuno ha il diritto di giudicare un comportamento di cui non conosce le motivazioni.

Il caso di cui tutti parlano è scoppiato a Milano la mattina di Pasqua: nella “Culla per la Vita” situata all’ingresso della Clinica Mangiagalli di Milano è stato lasciato un piccolo di una settimana di vita, Enea, perfettamente sano, avvolto in una copertina verde e corredato di una dolcissima letterina scritta con affetto dalla sua mamma: “Ciao mi chiamo Enea. Sono nato in ospedale perché la mia mamma voleva essere sicura che era tutto ok e stare insieme il più possibile. La mamma mi ama ma non può occuparsi di me”. E il fatto – cosa forse prevedibile – ha immediatamente scatenato una bufera mediatica di dimensioni esagerate.

(Tra l’altro, non si tratta di un caso isolato. Martedì 12, sempre a Milano, un’altra neomamma ha partorito una bambina in un capannone dismesso, poi ha chiamato il 118, che l’ha portata in ospedale, questa volta al Buzzi, dove ha deciso di non riconoscere la figlioletta appena nata, anche lei sana, abbandonandola in ospedale).

La legge in questi casi garantisce alla mamma l’anonimato permettendole di partorire in sicurezza, cioè in ospedale, e di lasciare il neonato alle cure del personale sanitario e degli specialisti neonatologi, nonché alla successiva adozione da parte di una nuova famiglia.

E questo è un grande passo in avanti nella conquista dei diritti sociali sia per quanto riguarda le scelte delle mamme che non desiderano quel figlio sia per il futuro di quel figlio stesso.

Quello che invece è risultato inappropriato e che sarebbe stato meglio non succedese è che la Mangiagalli abbia deciso di rendere pubblica la notizia. Perché è vero che l’identità della mamma di Enea (e della mamma della bambina del Buzzi) resta sconosciuita, ma è anche vero che la diretta interessata si ritrova senza volerlo al centro di una disputa infinita, dove ognuno dice la sua, giudicando, criticando, condannando a priori pur senza conoscere le vere motivazioni che hanno spinto a quel comportamento.

E’ facile accusare una mamma di abbandono, senza sapere nulla di lei: le apparenze ingannano, dice il proverbio, ma nessuno ne tiene conto. Le apparenze dicono appunto che questa mamma ha abbandonato il suo bambino, ma qual è la verità? Forse, come tutti hanno pensato, non ci sono risorse economiche sufficienti, e allora ecco la pioggia di promesse, di elargizioni di denaro, di aiuti economici e di sostegno. Aiuti che comunque non risolverebbero certo i bisogni del piccolo se non a breve scadenza, perché, come sempre succede, una volta esaurita la carica mediatica, si esauriscono anche le promesse benefiche.

Se invece non si trattasse di soldi, o non solo di soldi? Se la ragazza fosse una studentessa che non se la sente di interrompere la scuola o l’università per fare la mamma? Perché crescere un figlio nei primi anni di vita non permette certo di continuare a studiare… Se non avesse ancora la maggiore età e semplicemente non si sentisse pronta? Non sentirsi pronta non vuol dire essere snaturata, ma solo non ancora matura, non all’altezza di un compito tanto complesso e impegnativo.

E se, al limite, fosse stata stuprata oppure illusa da qualcuno che l’ha abbandonata appena ha saputo della gravidanza? E quindi si fosse ritrovata sola e disperata di fronte all’enorme responsabilità che crescere un figlio comporta?

Magari, invece, non si tratta di una ragazza, ma di una donna fatta, più o meno matura, forse straniera, fuggita da un Paese in guerra, in cerca di un lavoro, di una vita migliore, senza una casa (come nel caso della mamma del Buzzi, che è italiana, ma non ha una fissa dimora). Magari di figli ce ne sono già altri, magari lontani, bisognosi, che aspettano il ritorno della mamma… Non lo sappiamo. Le eventualità sono infinite. E ogni giudizio in proposito è fuori luogo.

Quello che è certo è che questa ragazza/donna ha fatto la cosa giusta: ha amato il piccolo che aveva in grembo, ha deciso di portare a termine la sua gravidanza (pur non essendo una gravidanza desiderata) – e già questo è un atto encomiabile – ha partorito in ospedale per essere certa che tutto andasse per il meglio, ha tenuto il neonato per una settimana (quindi ha avuto tutto il tempo per ragionarci), l’ha nutrito, l’ha coccolato e poi ha preso la grande decisione: l’ha portato nella culla termica, avvolto nella copertina verde, al caldo, gli ha dato un nome, gli ha dedicato una letterina piena di affetto e l’ha affidato a chi può prendersi cura di lui… 

Avrebbe potuto abortire, prendere la pillola del giorno dopo o quella dei cinque giorni dopo. Oppure avrebbe potuto nascondere la gravidanza e partorire di nascosto e poi buttare il bebè nel cassonetto della spazzatura come purtroppo hanno fatto tante altre mamme disperate. Di fatto, il comportamento di questa mamma, pur nella scelta drammatica della rinuncia, è stato davvero ineccepibile e può essere additato come esempio da seguire quando ci si dovesse trovare in simili condizioni difficili.

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