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L’Italia si sta progressivamente spopolando. A dirlo è l’ultima fotografia scattata dall’Istat, negli Indicatori demografici per il 2019, da cui emerge al 1° gennaio 2020 i residenti nel nostro Paese erano 60 milioni e 317mila, 116mila in meno rispetto al 2018. Le più colpite dal calo demografico sono le regioni meridionali, dove la diminuzione della popolazione è pari al – 6,3 per mille. La ragione di questo sfoltimento? Un mix di fattori sociali, economici, sociologici.
In Italia sempre meno nascite
Una delle ragioni del calo della popolazione italiana è rappresentata dalla diminuzione del tasso di natalità. Oggi il gap fra nascite e decessi è pari a 13, mentre 10 anni fa era meno della metà: si attestava, infatti, a quota 4. Nel dettaglio, a inizio 2020 per 100 persone decedute nascevano soltanto 67 bambini. Nel 2010, invece, i nuovi nati erano 96. Lo scorso anno la dinamica naturale (nascite-decessi) risultava pari a -212mila unità. Del resto, le coppie fanno sempre meno figli: da un lato perché non hanno una stabilità lavorativa ed economica, dall’altro perché l’amore nasce sempre più tardi.
Flussi migratori reggono
Il calo demografico è collegato anche i flussi migratori. Per ora i flussi con l’estero rimangono positivi, ma sono comunque in rallentamento. A inizio anno il saldo era di +143mila, risultato di 307mila iscrizioni e 164mila cancellazioni. Rispetto al 2018, quindi, si sono perse 32mila unità.
Calo nascite significativo al sud
Complessivamente nel 2019 la popolazione ha registrato una riduzione pari al -1,9 per mille residenti: si tratta del quinto calo consecutivo registrato dal 2015. I residenti sono diminuiti prevalentemente al sud (-6,3 per mille) e in misura inferiore al centro (-2,2 per mille). Al nord, invece, sono in crescita (+1,4 per mille).