Egregio Avvocato, ho letto recentemente su un quotidiano la notizia di quella sentenza di un Tribunale che ha risarcito due sposi per i danni subiti a causa di un pranzo di nozze fallimentare, condannando la società di catering al relativo risarcimento; siccome lo scorso anno ho avuto un’esperienza simile ed io e mio marito ci siamo più volte chiesti se avessimo la possibilità di rivalerci sui responsabili, vorrei avere da lei dei chiarimenti in proposito.
Alessandro Lacchini
Gentile Signora,
la sentenza cui si riferisce è probabilmente quella emessa dal Tribunale di Paola il 15 febbraio scorso; è una decisione che ha destato notevole scalpore tra gli addetti ai lavori in quanto ha il pregio (o il difetto), di enunziare dei principi di diritto inconsueti, che non trovano precedenti nella giurisprudenza più recente se non in un’isolata sentenza del Tribunale di Roma (n. 16602/09).
Il caso deciso dal tribunale calabrese, invero, è già di per sé assai particolare; in buona sostanza, si trattava di un pranzo di nozze, cui fece seguito il ricovero in ospedale di buona parte degli invitati, causa un’intossicazione alimentare, conseguente alla non conformità dell’acqua ai limiti di legge ed alla presenza nell’alimento “ricotta fresca” di stafilococchi coagulasi-positivi e di Escherichia-coli.
Da qui, accertato in giudizio che i malori erano effettivamente stati determinati dal cibo avariato (nonostante un flebile tentativo della difesa di addossarne la responsabilità alla pasticceria fornitrice del dessert), la condanna della società di catering a risarcire i danni subiti dai novelli sposi.
E fin qui, nulla di inconsueto: il rapporto contrattuale che viene stipulato con l’organizzatore del matrimonio, infatti, obbliga quest’ultimo a fornire un servizio consono alle aspettative dei committenti, con la conseguenza che una qualità inferiore a quella pattuita, legittima gli sposi a chiedere una riduzione del compenso proporzionale all’importanza delle inadempienze o, addirittura, nei casi più gravi (come quello analizzato dalla sentenza), la risoluzione del contratto e la restituzione di quanto eventualmente già corrisposto a titolo di compenso.
Rispetto a tale impostazione la giurisprudenza è univoca, così come sul termine decennale di prescrizione del diritto risarcitorio e la ripartizione degli oneri probatori: a carico degli attori l’enunciazione del fatto e dell’inadempimento, a carico dei convenuti la prova contraria di una corretta esecuzione del servizio o dell’imputabilità dell’inadempimento a soggetti/fatti diversi (così si spiega il tentativo di chiamare in causa la pasticceria).
Quel che ha suscitato le attenzioni dei giuristi (ed in molti caso lo sdegno), è che il Giudice di Paola, nel liquidare i danni in € 10.032,00, si sia spinto ben oltre le ricadute patrimoniali (di pacifica ammissione, come detto), affermando il diritto dei coniugi a vedersi riconosciuto il “danno da matrimonio rovinato”, ravvisato nel sentimento di rabbia e dispiacere per la festa rovinata e nell’imbarazzo nei confronti degli invitati.
Ebbene, quel che nel sentire comune appare scontato, cioè vedersi risarcire i danni “morali” per non aver goduto di un giorno tanto irripetibile e speciale, lo è molto meno per la giurisprudenza più accreditata in tema di liquidazione dei danni alla persona: secondo l’orientamento della Cassazione, enunciato con le sentenze delle Sezioni Unite nn. 26972, 26973, 26974, 26975 del 2008, in caso di inadempimento contrattuale può sorgere il diritto alla riparazione del danno non patrimoniale (morale), solo se ricorrano le ipotesi espressamente previste dalla legge o vi sia stata la lesione di diritti inviolabili della persona di rango costituzionale, tra i quali, ahinoi, non si annovera il diritto a godere di un matrimonio con ogni crisma.
Risulta evidente come il Tribunale calabrese sia uscito dal solco della tradizione, disattendendo le indicazioni della Corte Suprema ed affermando che il danno non patrimoniale da violazione contrattuale è risarcibile indipendentemente dalla sussistenza di una lesione di un diritto di rango costituzionale.
Se tale decisione sia destinata a rimanere un unicum o, al contrario, rappresenti l’avvio di un’inversione di tendenza, non è dato sapere; certo è che la sua difformità rispetto all’orientamento della cassazione non lascia grosse speranze ai sostenitori del danno non patrimoniale da matrimonio rovinato.
Per tornare alla domanda, cara lettrice, dato che dal tenore del messaggio mi pare di arguire che il termine decennale cui ho fatto cenno non sia ancora decorso, posso senz’altro affermare il diritto Suo e di Suo marito a vedervi rifondere quanto (o parte di quanto) pagato a chi abbia mancato agli accordi assunti, a patto che si tratti di carenze oggettive e rilevanti; per quanto concerne il risarcimento del patimento morale (ammesso che vi sia stato), purtroppo non vi farei troppo affidamento, proprio per le ragioni poc’anzi esposte.
Cordiali saluti.
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