Egr. dottore, mi rivolgo a Lei per un’annosa questione, che spesso comporta lunghe discussioni tra genitori, pediatri e nonni. Un tempo era usanza dire
di non prendere troppo freddo in inverno, di coprirsi e di non uscire a basse temperature, altrimenti ci si prendeva il “raffreddore” (già il nome cerca di portare all’inganno…). Ora, siccome la l’influenza (e i sintomi che la caratterizzano, a partire dalla febbre) insorge in seguito all’aggressione di un virus mi chiedo se sia vera questa vecchia convinzione o se, al contrario, non ci sia nessun tipo di correlazione tra l’esporsi a basse temperature e la comparsa di febbre, tosse, raffreddore e così via. Ho letto che alcuni studi affermano che non ci sia nessun legame, e semplicemente le influenze invernali avvengono più frequentemente perché si è più obbligati a rintanarsi in ambienti chiusi, caldi, poco aerati e umidi, moltiplicando le
possibilità di contagio. So che nei paesi nordici addirittura portano i bambini a dormire all’aperto, ben coperti, per far passare loro qualche malanno. Altri studi invece affermano che, al contrario, il freddo abbia una effettiva capacità di diminuzione delle difese immunitarie del corpo, rendendo più vulnerabili nei confronti di virus e batteri.
Oltre a questo, Le chiedo anche se, una volta contratto un virus e con febbre in atto, si possa portare il bambino fuori casa, a prendere un po’ di aria fresca, sempre abbia la voglia e l’energia per farlo, quindi senza forzature. Mi chiedo quale sia la verità e come ci si debba comportare in questi casi
una volta per tutte. La ringrazio per i suoi gentili chiarimenti e Le porgo cordiali saluti.
Aldo Messina
Domanda davvero interessante, la sua, caro papà.
Il raffreddore (che è diverso dall’influenza, visto che non determina di per sé comparsa di febbre) deve, ovviamente, il suo nome, al fatto che gli è sempre stata riconosciuta una ipotetica causa perfrigerante. Questa era la teoria iniziale sulla causa.
Successivamente si è scoperto che il raffreddore è dovuto a un virus (per lo più il rinovirus) e pertanto si sviluppa in seguito a contagio. Ci si è subito affrettati, di conseguenza, ad affermare che per prevenirlo fosse opportuno evitare di frequentare luoghi chiusi e affollati, dove più facilmente poteva circolare il virus, e a escludere che l’esposizione al freddo avesse una relazione con la comparsa del raffreddore.
Nel 2009, si fa strada una terza via. Alcuni ricercatori (tra questi Ronald Eccles) hanno dimostrato che le cause perfrigeranti possono determinare una maggiore suscettibilità all’attecchimento del virus nel nostro albero respiratorio. Da qui è stata elaborata la teoria che ha unito le due precedenti ipotesi: la malattia è virale, ma le basse temperature deprimono la risposta dei nostri sistemi di difesa e quindi aumentano le probabilità di ammalarsi. In genere, sia nella scienza sia nella politica, quando si trova una terza via comune, si è tutti contenti per la ritrovata armonia.
Però negli anni Sessanta inizia a diffondersi l’idea che le malattie somatiche siano anche espressione di “stati mentali”. E’ il principio della psiconeuroendocrinoimmunologia (PNEI) che esplode negli anni Novanta dimostrando che il sistema immunitario e la nostra capacità di difesa dai virus dipende anche dalla nostra condizione psichica. Per quanto riguarda l’opportunità di fare stazionare all’aperto un bambino quando ha la febbre, meglio di no. E’ opportuno tenerlo in casa, non troppo coperto (se la casa è riscaldata a sufficienza). Con cordialità.
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