Salve, ho un bimbo di 26 mesi a cui è stato diagnosticato da poco disturbo dello spettro autistico. Ha iniziato da poco un processo terapeutico e le
neuropsichiatre che lo hanno valutato e che lo stanno seguendo mi hanno raccomandato di smettere di allattarlo al seno, per promuovere l’autonomia
del bambino, per un discorso di rigenerazione neuronale (il bimbo si sveglia 2/3 volte di notte si attacca e si riaddormenta), e perché secondo
loro l’allattamento intensifica quelle che sono le sue difficoltà comunicative e sociali. Vorrei avere un secondo parere. Grazie.
Risponde il dottor Giovanni Valeri, neuropsichiatra infantile Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma:
Gentile signora, da nessuno studio finora effettuato è mai emerso che l’allattamento al seno protratto possa in qualche modo influire negativamente sul disturbo dello spettro autistico. Premesso questo, è vero che è importante che un bambino di 26 mesi sia incoraggiato a trovare modalità di consolazione alternative al seno, che possano consentirgli di diventare via via più autonomo. Il processo richiede pazienza e si compie con gradualità: si può iniziare, quando si sveglia di notte, a non offrirgli immediatamente il seno, ma a provare, per esempio, a porgergli un giocattolino morbido, parlandogli con tono affettuoso. Per promuovere le competenze sociali e comunicative, nel corso della giornata è importante creare attività “triadiche” condivise, che coinvolgano cioè il bambino, la mamma (o il papà) e un oggetto. Significa, per esempio, proporgli il gioco della palla o delle costruzioni oppure sfogliare con lui un libro ricco di figure. In relazione all’allattamento al seno, quello che conta è che non sia invasivo rispetto alle altre attività, non si configuri come il principale interesse del bambino, specialmente durante il giorno, ma lasci spazio anche ad altri tipi di interazione che, come già detto, coinvolgano anche un terzo “attore”. Vale dunque la pena di ripetere che non è l’allattamento al seno in quanto tale a configurarsi come elemento che può peggiorare la condizione del bambino, ma quello che può rappresentare in quanto attività che può contribuire a una sua maggiore chiusura verso l’esterno. Con cordialità.
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