Smartphone vietati ai bambini: guida all’uso consapevole del cellulare (con Alberto Pellai)

Patrizia Masini A cura di Patrizia Masini Pubblicato il 17/12/2021 Aggiornato il 17/12/2021

A che età dare il cellulare in mano ai bambini? Posso farci giocare i più piccoli? Ne parliamo con Alberto Pellai, medico e autore del libro “Vietato ai minori di 14 anni”, che ci spiega come preparare i bambini all’uso delle nuove tecnologie. Ci faremo poi consigliare delle alternative allo schermo per i più piccoli da Federica Amato, psicologa ed esperta di giochi educativi

Smartphone vietati ai bambini: guida all’uso consapevole del cellulare (con Alberto Pellai)

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Oggi parliamo del rapporto tra bambino e cellulare, partendo dal bambino molto piccolo, quando gli si fanno vedere foto e video dal proprio cellulare, e arrivando a quello preadolescente, quando in genere in Italia entra in possesso di un proprio smartphone. Non è mai troppo presto per decidere come impostare il rapporto con le nuove tecnologie per i nostri figli, un po’ perché è dai primi anni di vita che si traccia la via e un po’ perché, se i genitori sono consapevoli di come la tecnologia impatti sulla crescita del bambino, saranno più preparati ad affrontare il fatidico momento in cui il proprio figlio chiederà di avere un proprio smartphone.

Secondo Alberto Pellai, medico, psicoterapeuta dell’età evolutiva ed autore di numeri libri di successo come L’età dello tsunami riferito alla pre-adolescenza, occorre aspettare assolutamente i 14 anni. Lo aveva sempre detto che lo smartphone a uso personale non risponde ai bisogni di un pre-adolescente e provoca danni a livello mentale, organico e anche scolastico. In più crea ansia e dipendenza. Ne è talmente convinto che ci ha appena scritto un libro con Barbara Tamborini dal titolo che non ammette repliche “Vietato ai minori di 14 anni” edito da De Agostini. Ci facciamo raccontare direttamente da lui il perché di questa scelta così radicale.

“Perché un cellulare ad uso personale in mano un preadolescente è un po’ come dare un automobile da guidare a un ragazzo che è in grado di gestire invece il movimento su bicicletta all’interno della sua comunità. Richiede cioè competenze complesse che il funzionamento mentale del preadolescente non è ancora in grado di supportare in modo adeguato. Quello che proponiamo ai genitori in realtà non è tenere lontani i ragazzi e ragazze dalle tecnologie prima dei 14 anni bensì permettere l’accesso a tecnologie familiari e rendere possibile ai genitori la supervisione di quello che i ragazzi fanno nel territorio on line fino a 14 anni”.

L’attesa fino ai 14 anni quale sicurezza da in più?

“Questo prepara i preadolescenti a un uso competente e consapevole in modo che poi quando dopo i 14 anni avranno in mano lo strumento ad uso personale abbiano davvero acquisito un po’ quelle regole di base di protezione e di sicurezza. Anche dal punto di vista mentale si trovano con un cervello che effettivamente non ha più le caratteristiche del cervello dei preadolescenti, quello che abbiamo un po’ raccontato anche nel libro “L’età dello tsunami”, un cervello che è fortemente impulsivo, istantaneo, che riflette poco e che è immediatamente agganciato alla proposta che il territorio on-line fa ai giovanissimi. È proprio un po’ come il paese dei balocchi raccontato da Collodi e che li distrae davvero tanto dai compiti evolutivi e a volte anche li coinvolge e li immerge in attività e situazioni troppo complesse”.

Se il cervello dei preadolescenti è impulsivo e facilmente eccitabile, come fare comunque per abituarli alle nuove tecnologie? Basta avere uno smartphone di famiglia?

“È questo il modello di comportamento on-line che viene suggerito ai genitori per i figli che hanno meno di 14 anni: avere uno smartphone di famiglia all’interno del quale possono condividere tutto quello che vogliono nei loro gruppi WhatsApp sapendo che quello smartphone però è anche uno smartphone che viene utilizzato magari dai loro genitori e all’interno del quale i genitori non spieranno mai quello che fa un figlio preadolescente ma magari condivideranno con lui l’analisi e la visione di quello che succede nella vita on-line”.

In che senso non devono spiare? E il controllo allora?

“Lo smartphone di famiglia e lì a disposizione di tutti, quindi per esempio la nostra esperienza di genitori con quattro figli è che quando arriva un messaggio sullo schermo del cellulare di famiglia potrebbe essere che quel messaggio arriva proprio all’occhio della mamma o del papà che sono lì e che lo stanno guardando. Anche non volendolo leggere, molti aspetti diventano automaticamente visibili e questo permette a volte anche proprio in modo totalmente informale, senza averlo cercato, di rendersi conto che stanno magari succedendo nelle chat e nei gruppi WhatsApp dei nostri figli delle cose che non vanno assolutamente bene. Un consiglio che diamo i genitori è quello che una o due volte alla settimana, soprattutto se abbiamo figli molto piccoli (dai 10 ai 12 anni), noi ci sediamo di fianco a loro con lo smartphone di famiglia in mano e insieme guardiamo un po’ cos’è successo negli ultimi giorni all’interno di internet, quindi guardiamo un po’ cosa sta succedendo nei gruppi WhatsApp, guardiamo che cosa c’è nella cronologia e, se non abbiamo dei sistemi di parental control, verifichiamo anche quant’è il utilizzo il tempo in cui questo smartphone è rimasto nelle mani dei nostri figli”.

Qual è la differenza tra dare uno smartphone supercontrollato e proibirlo proprio? Nel primo modo sono contenti tutti. O no?

“La differenza è che comunque è uno strumento che si porta addosso e che sta sempre con te in ogni minuto e in ogni movimento che fai. È comunque uno strumento che impatta in modo fortissimo le tue abitudini quotidiane, entra e interferisce con i tuoi movimenti e con le tue relazioni. Basta osservare quando i ragazzi escono dalle scuole medie e sono rimasti una mattina senza lo smartphone in mano: escono dal cancello tutti con lo sguardo basso sullo schermo proprio in quel tratto di strada che magari potrebbero condividere con i loro amici parlando delle esperienze che hanno vissuto a scuola. Tra l’altro si espongono anche a un rischio parecchio aumentato di incidentalità stradale perché non vedono dove stanno camminando”.

E parlando di bambini molto piccoli, ai quali molto spesso viene dato in mano il cellulare dei genitori per evitare che piangano, che cosa mi dice?

“Lo smartphone viene usato sempre più come un ciuccio elettronico, cioè se il bambino ha in mano uno smartphone quando è agitato, in condizioni di sregolatezza emotiva, lo stesso bambino sembra placarsi come se il cellulare fosse davvero capace di regolare e moderare la sua regolazione emotiva. In realtà il bambino non è che impara a regolarsi ma il bambino viene ipereccitato, iperstimolato da qualcosa che ha un’intensità più forte ed è evidente che non ne ricava una competenza autoregolativa dall’uso di uno strumento elettronico, anzi spesso aumenta il suo potenziale di sregolazione. Il bambino è distratto dal suo stato di sregolazione emotiva e tutti i genitori si accorgono che appena lo schermo viene tolto, la controreazione è ancora più intensa di prima e il bambino fatica moltissimo a calmarsi. Inoltre il bambino continuerà a chiedere sempre di più quel genere di strumento per tenersi ingaggiato e rimanere in uno stato di regolazione e qua dentro attiverà un meccanismo che spesso porta anche alla vera e propria dipendenza”.

Parlare di dipendenza in bambini molto piccoli è strano…

“Dovremmo domandarci come mai tanti genitori non riescono più a fare a meno di uno schermo per supportare tutta una serie di comportamenti e di azioni dei bambini. Per esempio quando i bambini fanno colazione o quando i bambini mangiano diventa automatico accendere uno schermo per permettere loro di assolvere ad un’altra azione o funzione, altrimenti i bambini non riescono a eseguire quel compito che il genitore sta riservando loro”.

Quali sono le alternative al cellulare per i bimbi molto piccoli?

Lo chiediamo a Federica Amato, che è psicologa e cura una pagina su Instagram dove da consigli su giochi educativi e libri per bambini. La sua pagina si chiama mamma_giochiconme

“Per la fascia di età dei piccolini, tra gli 0 e i 2 anni, sicuramente non c’è una regola generale, quindi consigliare un gioco piuttosto di un altro è un discorso molto ampio perché è sempre necessario seguire quelle che sono le attitudini personali. Molti bambini adorano la pittura con le dita, compreso quelli come mio figlio che non amano colorare con pastelli e pennarelli, e spesso la pittura con le dita è un’attività che riesce ad intrattenere i bambini anche per un’ora, un’ora e mezza. Io consiglio anche i giochi ad incastro, quelli con varie forme da infilare, che proprio per la loro natura sono un po’ dei “rompicapo”, quindi nella fascia d’età tra gli 0 e i 2 anni possono essere molto utili per intrattenere i bambini. Gli albi attività, a partire dai 3 anni, rispondono all’esigenza dei bambini d questa età di districarsi tra le tante attività che propongono, come giochi di logica, labirinti, segui il percorso… Io per esempio quando vado al ristorante porto sempre con me gli albi attività così come anche gli stickers. Non esiste che al ristorante si vada solo se c’è il cellulare o se c’è il tablet, esistono tante alternative che esulano dai giochi elettronici o dal cellulare. E lo stesso vale anche a casa. Questo ovviamente quando il genitore è impegnato perché deve fare altro e quindi non può fare giochi che comprendano la relazione diretta tra lui e il bambino”.

Chiediamo ancora al dottor Pellai, come possono i genitori spiegare e convincere, almeno il più possibile, i propri figli preadolescenti a rinunciare al cellulare personale?

Utile anche per chi ha figli più piccoli, così da avere già pronta una quando sarà il momento e come prospettiva, così da dire loro “attenzione, prima di una certa età il cellulare non arriva”…

“Direi dicendo a un figlio che ci sono delle scelte educative che vengono fatte dai genitori nella logica di sostenere la crescita e decidere quando introdurre uno strumento che ha un impatto così potente sulla crescita non può essere stabilito semplicemente in base al criterio della popolarità. Dire che gli altri ce l’hanno tutti e io no è un criterio di popolarità, non è un criterio di adeguatezza educativa. Un secondo aspetto molto importante è che i genitori quando fanno questa scelta dovrebbero far notare ai figli come, non avendogli dato uno smartphone ad uso personale, si sono impegnati tantissimo a dargli un’infinità di altre cose che hanno enorme valore educativo, enorme valore socio-relazionale ed enorme valore di intrattenimento. Non lo hanno lasciato sguarnito di tutte quelle attività e funzioni per cui normalmente un preadolescente usa lo smartphone.  Il messaggio dovrebbe essere: tutto quello che vai cercando in uno smartphone, io mi impegno a metterlo dentro la tua giornata, dentro la vita reale”. 

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