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“Pensavo di non riuscire ad assistere al parto. Pensavo a un certo punto che i dottori dovessero venire a soccorrere me perché sinceramente avevo il timore di andare giù al momento della nascita. Invece ho scoperto di avere comunque la forza di rimanere lì, di essere presente e di essere d’aiuto quando era il momento di essere d’aiuto. Insomma mi sono scoperto diverso da come mi sarei aspettato” (papà Gabriele Collesano).
Parliamo di papà in sala parto e lo faremo in un modo diverso, sentendo non solo un esperto, anzi un’esperta, ma anche dando la voce direttamente a voi, mamme e papà che ci ascoltate. Partiamo però da un post pubblicato su Instagram da Salvo di Grazia, ginecologo e divulgatore scientifico, che ha scelto come pseudonimo per i social e per il suo sito il nome Medbunker. Su Instagram ha messo la foto di un papà in sala parto con la faccia terrorizzata. Il commento diceva che le reazioni dei papà alla nascita del figlio sono imprevedibili. Una volta, scrive sempre Salvo di Grazia, un papà vedendo suo figlio tutto insanguinato e con la testa allungata, chiese “ma è normale quel coso”? Ne deve avere viste tante in sala parto questo medico. E chiude il post scrivendo: Succede, in sala parto avviene l’incredibile.
“Essere presente alla nascita dei miei figli è stata una soddisfazione. Ma non per qualcosa che doveva realizzarsi perché ritenevo di meritarlo. Lo è stato perché insieme a mia moglie ho potuto contribuire fino alla fine al compimento di un vero e proprio miracolo, o almeno così noi la pensiamo” (papà Davide Torchia).
“Per noi è stato implicito che lui dovesse venire in sala parto. Non c’erano alternative. Non è che io gli ho chiesto “Ti va di venire in sala parto?” Il mio compagno, in quanto padre, era normale che venisse in sala parto con me” (mamma Raffaella).
“Volevo assolutamente che lui ci fosse perché noi siamo abituati a stare sempre insieme. è stato importante e di sostegno fisico e psicologico” (mamma Elena).
Perché dunque il papà o il partner dovrebbe essere presente al momento del parto? Ne parliamo con Amelia Nicosia, che è una doula, cioè una figura professionale non sanitaria di sostegno alla mamma, al papà e poi al bambino. Non è un medico, non è un’ostetrica, ma è una donna che offre sostegno psicologico, emozionale e pratico alla famiglia che si sta formando. Da notare che l’enciclopedia Treccani definisce la doula come l’accompagnatrice alla nascita.
Perché accompagnare una donna durante il parto? Perché non lo può affrontare da sola? Lo chiediamo a doula Amelia
“Per la donna avere durante la sua esperienza di travaglio parto una figura di riferimento che possa portarle aiuto e sostegno può fare la differenza per quella nascita, Se pensiamo al passato, a quando le nostre nonne partorivano e avevano accanto a loro una rete di donne, composte da vicine di casa, cugine e madri che partecipavano a quest’evento sostenendo in maniera positiva, dando suggerimenti e incoraggiando, è comprensibile quanto ancora oggi la donna abbia bisogno di una rete di persone che la supportano, soprattutto durante il travaglio parto, che è un’esperienza forte e totalizzante. Normalmente chi accompagna la donna è il proprio compagno” (doula Amelia).
C’è da dire che non sempre è così. Non sempre il papà o il partner può o vuole essere presente…
“Può accadere che i papà non se la sentano di essere presenti perché hanno paura, magari paura di non essere in grado di supportare al meglio la propria compagna o perché, per esempio, hanno altri bambini piccoli e sono soli, senza nonni su cui contare, e si trovano costretti a fare una scelta di questo tipo. Qualche volta ci sono mamme che non hanno accanto i propri compagni perché strada facendo si sono persi… Possono essere diverse le ragioni per cui un papà dice di no, volontariamente o a volte anche involontariamente” (doula Amelia).
“La cosa che ricordo riguardo il “timore” per il parto del mio primo figlio può sembrare buffa. Non si trattava, come si possa pensare, di preoccupazioni riguardo il parto in sé, in realtà avevo paura della “corsa” in ospedale quando mia moglie avrebbe avuto i dolori delle contrazioni. Il mio primo figlio è nato a dicembre e avevo paura che si formasse ghiaccio per la strada e potessi sbandare per andare in ospedale. Nella mia testa mi ero già organizzato per chiamare un’ambulanza, se ci ripenso oggi mi viene da ridere ma all’epoca era una specie di ansia. Per fortuna l’asfalto, quel giorno, era asciutto” (papà Davide).
“Ho cercato di sostenere la mia compagna ma non è una cosa semplice perché non si sa mai qual è la sua reazione, nel senso che magari c’è il momento in cui lei vuole che tu le tenga la mano e un altro in cui vuole che tu te ne sia un po’ più lontano perché ha bisogno di stare da sola. Comunque 12 ore in sala parto anche per un babbo non sono semplici” (papà Gabriele).
In realtà non è che il papà in sala parto debba fare molto, ci sono già i medici e le ostetriche che seguono con attenzione l’evento parto. L’importante è che ci sia e che dia sostegno alla mamma, anche solo psicologico o con una stretta di mano. Poi, a volte, può sdrammatizzare…
“La cosa che mi faceva ridere è che io vedevo che la vita scorreva intorno a me mentre io ero molto concentrata sul parto, quindi sul fatto che spingersi tanto, che cercassi una posizione per essere comoda… Nello stesso tempo, però, non so se era una cosa voluta dall’ostetrica, lui parlava con lei di dove eravamo stati in vacanza, quindi facevano dei discorsi che esulavano dal momento che stavo vivendo. Questo mi ha aiutato a serbare in me un ricordo del parto come di un evento molto bello, nonostante ci siano stati anche dei momenti difficili, in cui è dovuto intervenire il medico. La sua presenza, con le sue risate, le sue conversazioni con l’ostetrica, mi aveva fatto sentire rilassata, come se stessi vivendo un momento “normale” o comunque un momento in cui non era necessario preoccuparsi” (mamma Raffaella).
“In uno dei tre parti sono stato obbligato a mangiare da parte delle infermiere una brioche al cioccolato e io non volevo perché non volevo distrazioni, ma alla fine sì, l’ho mangiata ed era pure buona. Ma in realtà non ho dovuto fare nulla di speciale, mia moglie non ha avuto bisogno di nulla se non della mia presenza” (papà Davide).
Qual è stato il momento più bello? Lo chiediamo a Elena e Raffaella
“Quando ce l’hanno portata e siamo stati noi tre. Abbiamo chiamato la famiglia a casa per fargliela vedere e fare subito la conoscenza con i parenti via telefono. Sono state le prime presentazioni. Non avrei potuto immaginare di farlo io da sola con lei o lui da solo con lei, era giusto che fossimo tutti e tre insieme” (mamma Elena).
“Io ricordo che, anche nelle settimane successive a casa, continuavo a chiedere a lui di raccontarmi com’era andata perché io avevo pochissima memoria di quella situazione nel complesso. Mi ricordavo di singoli momenti mentre lui aveva un ricordo logico di tutto quello che era successo. Me lo facevo raccontare come se fosse una favola perché volevo che si mantenesse in ognuno di noi due il ricordo di quel momento che io non avevo vissuto così tanto perché comunque ero stanca. Lui aveva nella sua testa dei momenti che io non avevo. Aveva un’altra prospettiva. Il fatto di aver visto la bambina appena nata, di aver visto l’ostetrica quando l’ha tirata fuori, il primo bagnetto, tutto questo io non l’ho visto e volevo che me lo raccontasse perché in questo modo cercavo di viverla anch’io” (mamma Raffaella).
Rivolgendomi ai papà, come sono andati i vostri parti?
“Abbiamo tre figli, almeno per il momento, e ogni parto è stato intenso e diverso. E le paure, le preoccupazioni sono state ovviamente diverse. La prima volta è stata un po’ una corsa, avvenuta la sera prima per poi concludersi il pomeriggio del giorno seguente. Devo dire che la prima volta è stata una lunga attesa, ma si sa, solitamente il primo è un po’ pigro ma devo dire che è nato proprio il giorno in cui secondo i conti doveva nascere. In ogni caso il travaglio, il parto è stato fantastico. Mia moglie direbbe: “certo non hai partorito tu”… e avrebbe ragione ma lei è stata una vera campionessa. Mi ha fatto vivere tutto con serenità, sembrava non soffrire poi così tanto. Forse proprio questo ci ha fatto venire voglia di fare questa esperienza per altre due volte. E, in effetti, poco dopo sono nati gli altri miei due bimbi. Una femminuccia e un altro maschietto. Questi ultimi sono stati molto più rapidi e come sempre mi sono sentito quasi a casa in quei momenti. Il merito va tutto a mia moglie e anche agli ostetrici” (papà Davide).
“Io ne ho avute due di esperienze in sala parto, perché ho avuto 2 bambini, una è avvenuta nel periodo pre Covid e una nel periodo di Covid. Le differenze sono soprattutto per la madre, che non ha lo stesso supporto “completo” che oggi potrebbe avere se non ci fosse il Covid. Per la bimba che è nata ad aprile 2020, quindi in piena esplosione della pandemia, io ho assistito a 7 minuti di parto. Mi hanno chiamato al volo per salire su, io ero giù che aspettavo e ho assistito a soltanto 7 minuti di parto. Per il bambino che è nato un anno prima, nel 2019, io ho fatto 12 ore in sala parto, quindi l’esperienza è stata completamente diversa” (papà Gabriele).
Il Covid e la pandemia, come tutto questo ha influenzato la presenza del papà in sala parto? Lo chiediamo a doula Amelia, che ha seguito vari parti persino in presenza di lockdown…
“Certamente il Covid non ha aiutato. Alcune strutture sanitarie non permettono l’accesso dell’accompagnatore che la mamma vorrebbe vicino per procedure e protocolli e i papà sono invitati a entrare soltanto a travaglio già ben avviato. Questo sicuramente non è di aiuto perché le donne hanno bisogno di avere accanto fin da subito le proprie figure di riferimento. Sapere di essere lasciate sole alcune volte può mettere maggiore ansia alla futura mamma che sta per affrontare un viaggio molto potente. Sarebbe utile per la coppia informarsi prima della nascita per capire quali sono i protocolli e le procedure che adottano le strutture in cui intendono partorire. Questo serve per evitare di trovarsi poi a doversi confrontare con una realtà che non è quella che si aspettavano” (doula Amelia).
“Io mi aspettavo di cadere giù secco e duro e svegliarmi con il bimbo già in collo alla mamma. Mi è sempre venuto in mente la frase di una canzone di Ligabue, mio cantautore preferito, che dice “ho visto in sala parto la potenza delle cose” perché quello che si vede in sala parto è difficile da raccontare, è un’esperienza incredibile” (papà Gabriele).
Incredibile è la parola che ci ha accompagnato lungo tutto questo podcast, incredibile era scritto nel post del ginecologo Salvo di Grazia di cui abbiamo parlato all’inizio e incredibile è appena stato detto da papà Gabriele, dopo la citazione del mitico Ligabue. Sì, il parto è un’esperienza incredibile. Incredibile per tutti. Per la mamma, per il papà, per i medici e per tutti quelli che seguono questo incredibile avvenimento che è appunto il parto.