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Fino alla fine del secolo scorso c’erano (e ci sono ancora) due metodi educativi piuttosto diffusi tra i genitori: quello tradizionale impositivo e quello moderno permissivo.
Il metodo impositivo
I genitori impositivi, convinti di agire nel migliore dei modi possibili, davano regole ferree e punivano le trasgressioni (marachelle e ribellioni) dei figli a suon di botte. Così i figli, diventati a loro volta genitori, memori del rigore dell’educazione subita, si comportavano nello stesso modo, trasmettendo ai propri discendenti lo stesso tipo di violenza. Perché – si pensava – la punizione corporale è il modo più efficace per raddrizzare un comportamento sbagliato, soprattutto se reiterato. Attualmente per fortuna questo tipo di educazione appare decisamente in ritirata.
Il circolo vizioso delle sberle
Sempre nel corso del ventesimo secolo, infatti, si è visto (e dimostrato) che educare con la violenza porta solo ad altra violenza in una sorta di catena continua che lega il passato al futuro senza speranza di miglioramento. Picchiare un bambino (anche semplicemente dandogli un ceffone) vuol dire prevaricarlo, invadere la sua individualità, ledere la sua incolumità (fisica e morale), non avere rispetto per la sua persona (intesa anche come personalità), lanciargli un messaggio che grosso modo può suonare così: “Io sono più grande e forte di te e quindi tu devi fare quello che voglio io”.
La reazione del bambino
Risultato: il bambino punito con le sberle, anche se capisce di averle in un certo senso meritate, tende a sviluppare un sentimento di odio e rivalsa nei confronti del genitore, come a dire “appena posso te la faccio pagare”. Non solo. Poiché i genitori rappresentano il primo modello di comportamento, il piccolo è portato a pensare che, se papà e mamma possono dagli delle botte, si tratta di un comportamento normale e che dunque anche lui potrà darle agli altri.
Il metodo permissivo
Per evitare di cadere in questo circolo vizioso, i genitori più moderni, “aperti” e permissivi si sono comportati all’opposto: hanno deciso di optare per una educazione amichevole, democratica, considerando i propri figli persone alla pari, senza imporre regole e divieti e, di conseguenza, senza infliggere punizioni più o meno umilianti. Ma, così facendo, hanno finito per ritrovarsi loro stessi vittime dei propri figli, schiavi al loro servizio.
Un piccolo tiranno
In pratica, infatti, crescere senza regole, senza limiti da rispettare porta il bambino a considerarsi un re, un piccolo tiranno al centro dell’universo: se i genitori non gli dicono mai di no, se non gli pongono dei confini, se fin da piccolo gliele danno tutte vinte, inevitabilmente lui si sentirà il più forte e si comporterà di conseguenza, anche fuori dalla famiglia, pretendendo tutto quello che vuole, senza rispetto per nessuno.
Il rischio: l’insensibilità al consenso
Ecco, in entrambi questi esempi di educazione manca un elemento fondamentale per la formazione della personalità del bambino: l’educazione al consenso. Una pratica di cui oggi si sente tanto parlare proprio perché spesso, troppo spesso, è carente. Talmente carente da rendere possibili situazioni drammatiche ed estreme, come i reiterati stupri di gruppo (terrificante il caso delle due cuginette violentate da sei adolescenti) e come i continui femminicidi.
Serve il buon esempio
Capire che cosa sia il consenso degli altri e rendersi conto di quanto sia importante in tutti gli aspetti della vita, sia privata sia pubblica, sia famigliare sia sociale, sia reale sia virtuale, è indispensabile, ma non così automatico come si potrebbe credere. Non ci si arriva da soli, ma attraverso uno stile di vita che inizia fin da piccolissimi grazie all’educazione impartita dai genitori giorno dopo giorno e grazie soprattutto al loro esempio. Come puoi pretendere, tu genitore, che tuo figlio non si azzuffi con i suoi compagni se tu stesso continui a litigare con i vicini di casa?
Il rispetto va insegnato
Insegnare il consenso significa spiegare al bambino (e al futuro adolescente e adulto) che per ognuno ci sono dei confini, che la propria libertà finisce dove comincia quella altrui, che al mondo non esiste solo lui, ma anche tutti gli altri. Ogni altro è una persona come lui e insieme diversa da lui, che come lui ha opinioni, desideri, bisogni e che come lui esige rispetto e considerazione.
Il consenso fa parte dell’interagire quotidiano, è alla base di qualsiasi tipo di relazione civile, affettiva e non, e lo è da sempre, ma forse oggi se ne sta prendendo maggiore consapevolezza: tanto che se ne discute non solo per quanto riguarda l’educazione famigliare, ma a livello di insegnamento scolastico. La scuola, tuttavia, anche se riuscirà a dare il suo importantissimo contributo, da sola potrebbe non bastare. Potrebbe non essere sufficiente se a monte dovesse mancare l’impegno educazionale dei genitori.
Certo, non si tratta di un compito semplice, ma è risaputo che il mestiere di genitore è il più difficile del mondo, da sempre.