Nessuno ormai ci pensava più. La possibilità degli scolari di portarsi un pasto da casa e di consumarlo nell’orario di mensa sembrava effettivamente un diritto acquisito.
La questione era iniziata nel 2013, quando un gruppo di genitori di alunni della scuola dell’infanzia e di quella dell’obbligo di Torino aveva fatto causa al Comune e al ministero dell’Istruzione, sulla base di motivazioni importanti, quali il caro mensa e il giudizio negativo sulla qualità del servizio di refezione.
Respinta in primo grado nel 2014, la loro “pretesa” era stata accolta dalla Corte d’Appello di Torino nel 2016, dando il via a tutta una serie a macchia d’olio di “conquiste” analoghe in numerose altre città italiane. Sostenute tra l’altro anche da una sentenza del Consiglio di Stato, che nel 2018 aveva dato torto al Comune di Benevento che aveva vietato il pasto da casa. In quell’occasione, tra l’altro, si faceva anche notare la contraddizione palese tra vietare il pranzo da casa e permettere invece la merendina, anch’essa portata da casa…
Ma ora la sentenza della Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del Comune di Torino e del ministero dell’Istruzione bocciando il diritto di panino.
I motivi? Innazitutto perché non esiste un “diritto soggettivo perfetto e incondizionato all’autorefezione individuale nell’orario della mensa e nei locali scolastici” e poi perché il pasto da casa rappresenta una possibile “violazione dei principi di uguaglianza e di non discriminazione in base alle condizioni economiche, oltre che al diritto alla salute, tenuto conto dei rischi igienico sanitari di una refezione individuale e non controllata”.
Senza dimenticare l’importanza che il pasto in mensa costituisce per i bambini da punto di vista pedagogico, educativo, formativo, nonché di convivialità e socializzazione.
Queste in sintesi le ragioni dei giudici della Cassazione, condivise da molte autorità e dalla maggior parte dei genitori, vale a dire quelli a favore dell’istituzione mensa.
La nuova sentenza, comunque, pur essendo definitiva, non segna certo la fine della diatriba. Il principio di uguaglianza su cui si basa è inconfutabile, ideologicamente perfetto – non c’è dubbio -. Ma in pratica quale situazione si prospetta? Come si risolve il problema dei bambini di chi non può (o non vuole) pagare la mensa?
La voce degli scontenti si farà presto sentire. L’avvocato che li rappresenta, Giorgio Vecchione, ha già dichiarato che quella della Cassazione “è una sentenza che di fatto rende obbligatorio un servizio a pagamento (il servizio mensa) che invece per legge è facoltativo…”, un buon punto di partenza per una nuova protesta…