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Come previsto, il vaccino anti-Covid (prodotto dalla casa farmaceutica statunitense Pfizer, in collaborazione con la tedesca BionTech), dopo essere stato sperimentato con successo sui bambini dai 5 anni compiuti agli 11 anni (con un dosaggio tre volte inferiore rispetto a quello in uso per gli adulti) e dopo aver ottenuto il via libera prima dalla Fda (l’ente regolatorio Usa per il controllo dei farmaci e degli alimenti), poi dall’Ema (Agenzia europea per i medicinali) e infine dall’Aifa (Agenzia italiana del farmaco), è adesso dispobibile anche per i piccoli dai 5 anni in su.
Nel frattempo la richiesta di autorizzazione alla vaccinazione da parte della Pfizer è stata estesa anche ai piccolissimi dai 6 mesi di vita e i 5 anni non compiuti. Sembra dunque che a breve il vaccino possa essere disponibile pure per questa fascia di età. E non si tratta di un caso isolato. Anche altre case farmaceutiche, come Moderna e Johnson & Johnson, stanno mettendo a punto e sperimentando un vaccino dedicato ai bambini di tra i 6 mesi e gli 11 anni.
I genitori però hanno bisogno, se non di certezze (cosa impossibile nel campo della medicina e della salute), almeno di rassicurazioni. Si chiedono infatti se questi vaccini siano davvero sicuri e se sia proprio necessario somministrarli ai bambini, visto che, come noto, si ammalano meno degli adulti e tendono a sviluppare la malattia in forma asintomatica o comunque non grave.
Alle perplessità dei genitori risponde la comunità scientifica ribadendo come la lotta anti-Covid si possa continuare con successo soltanto estendendo la vaccinazione a tutta la popolazione, compresa quella pediatrica.
Che cosa dicono gli esperti
Estendere la vaccinazione anti-Covid anche a libello pediatrico non serve solo per riuscire a raggiungere l’agognata immunità di gregge (o di comunità), ma anche per proteggere i bambini dalle forme gravi della malattia, che sono rare – è vero – ma comunque sono sempre possibili (e non solo durante la fase acuta, ma anche a distanza di settimane).
Oltretutto, a mano a mano che aumentano le percentuali di anziani, adulti, ragazzi e ragazzini vaccinati, restano necessariamente più esposte al potenziale contagio del Coronavirus le fasce ancora non protette, e cioè appunto i bambini.
In ogni caso – dicono gli esperti – non si può pensare che si possa sconfiggere la malattia finché il virus continua a circolare. E, se non si vaccinano tutte le fasce di popolazione, pediatrica compresa, il virus continuerà a circolare e non si raggiungerà mai l’immunità di comunità. Quanto alla sicurezza dei vaccini, i medici non hanno dubbi, se non altro perché sono stati utilizzati su milioni e milioni di persone.
Va precisato, tuttavia, che, anche se la stragrande maggioranza dei pediatri e dei ricercatori si dichiara senza riserve a favore della vaccinazione ai bambini, una piccola parte di essi, pur essendo decisamente a favore della vaccinazione per gli adulti e i ragazzi, ha espresso qualche perplessità su quella per i piccoli.
Le riserve sono principalmente queste: che i bambini sotto i 12 anni non rappresenterebbero una categoria particolarmente a rischio, che prima di immunizzare i piccolisimi sarebbe meglio completare la copertura degli ultracinquantenni, che con i bambini molto piccoli bisognerebbe procedere con maggiore cautela, visto che in passato alcuni nuovi vaccini hanno provocato effetti collaterali non previsti.
A questo punto i genitori potrebbero sentirsi disorientati e non sapere più a chi credere.
Il parere del pediatra Piercarlo Salari
Abbiamo chiesto un chiarimento sul problema delle vaccinazioni al nostro dottor Piercarlo Salari che, prima ancora di essere il pediatra di riferimento della rivista Bimbisani & belli, è un pediatra di famiglia a Milano ed è soprattutto un papà.
“Le vaccinazioni da sempre, in tutti gli ambiti, sono un tema spinoso per diverse ragioni: la loro efficacia non è di immediata percezione, in quanto si traduce in una riduzione, o possibilmente assenza, di casi; in secondo luogo, affinchè una campagna abbia effetto, deve prevedere l’estensione della vaccinazione a un congruo numero di individui; a questo si aggiunge poi il fatto che qualsiasi atto medico, dalla somministrazione di un farmaco, magari praticata a cuor leggero anche ai bambini, alla vaccinazione, comporta sempre, se pur contenuta, una dose di rischio e che, se già a malapena oggi vengono accettate malattie e complicazioni ampiamente note e pur sempre presenti nella nostra società, risulta a dir poco inammissibile che un individuo in buone condizioni di salute sia sottoposto volontariamente a rischi anche potenzialmente gravi.
Nel caso del Covid-19 queste considerazioni si sono ulteriormente esasperate sia per prese di posizione ideologiche sia per la confusione, che spesso è stata purtroppo alimentata dagli stessi “esperti”, oltre che per la straordinarietà di una pandemia e dell’altrettanto sorprendente – oserei dire miracolosa – creazione in tempi rapidi di vaccini nuovi non soltanto per il bersaglio, ma anche per la stessa formulazione e tecnologia produttiva.
L’assoluta scomparsa del vaiolo dal nostro pianeta e quella di infezioni altrettanto pericolose da alcuni Paesi come il nostro – pensiamo soltanto alla poliomielite, che peraltro si è riaffacciata proprio dove la copertura è venuta meno – sono due esempi che devono far seriamente riflettere.
Un altro aspetto è poi legato al fatto che la cultura vaccinale non è ispirata agli interessi dei singoli, ma mira al beneficio collettivo: quanto più una popolazione è immunizzata, tanto più risulta protetta anche quella minoranza di individui che per svariate ragioni non sono stati vaccinati. Per contro, sono proprio gli individui portatori di malattie croniche o debilitati a dover essere tutelati per primi.
Infine, per entrare nel merito del Covid-19, anche sulla base di miei riscontri sul campo, posso affermare che nei cosiddetti “guariti” le sequele sono frequenti e spesso gravose, come può testimoniare chi lo ha purtroppo sperimentato in prima persona o ha vissuto la malattia di un familiare.
Se soltanto si mettono a confronto le possibili conseguenze dell’infezione con gli effetti indesiderati del vaccino, ci si rende conto della notevole sproporzione, senza poi contare che una risposta atipica e violenta alla vaccinazione non escluderebbe, anzi forse prospetterebbe, implicazioni ben peggiori in caso di infezione.
Si tratta ovviamente di ragionamenti ipotetici, che in altre circostanze, come per esempio la decisione di un intervento chirurgico, lasciano forse minori margini di dubbio di fronte a prospettive più concrete del rapporto rischio/beneficio. È e sarà sempre questo il fulcro sul quale si impernia la Medicina, e spetta al medico, in questo caso al pediatra, saperlo comunicare nella maniera più neutra e oggettiva possibile.
Sulla vaccinazione anti-Covid si è sentito e si è letto di tutto, ma il consiglio è di non cedere mai all’emotività, sulla quale fa spesso leva proprio chi non ha argomentazioni scientifiche. L’invito è invece a consultare i siti autorevoli, come quelli delle istituzioni e delle società scientifiche (la Società italiana di pediatria, per esempio, propone una serie di interrogativi con relativa risposta, che potrebbe essere oggetto di una successiva discussione con il proprio pediatra di fiducia): i genitori, infatti, devono sentirsi liberi di scegliere, ma su una base di consapevolezza e non di impulsività o di condizionamento passivo. Del resto, se in altri ambiti della vita reale chi accetta un rischio, a prescindere dalla motivazione, lo fa volutamente, a maggior ragione, prima di mettere a repentaglio la salute propria e altrui, ci si dovrebbe quanto meno documentare senza pensare di essere dei privilegiati.
La scienza ha inevitabilmente dei limiti, dei quali deve costantemente prendere atto, ma non dobbiamo dimenticare che con la stessa metodologia di studio applicata ai vaccini ha prodotto terapie nuove che hanno radicalmente modificato la prognosi di numerose malattie per le quali soltanto fino a pochi anni fa non c’erano prospettive di cura. E le evidenze finora raccolte sulla vaccinazione anti-Covid ai bambini depongono a favore di questo orientamento.
La pandemia ci ha trasmesso parecchi insegnamenti – purtroppo non sempre adeguatamente recepiti – e ci ha posto di fronte a numerose sfide. Se in un primo tempo la mancanza di strategie terapeutiche e preventive (mascherine, distanziamento e igienizzazione delle mani a parte) era l’incubo peggiore, ora l’opportunità rappresentata dalla vaccinazione ci obbliga a compiere un atto di fede e a cambiare il nostro schema mentale e il nostro punto di vista, facendo tesoro del passato e sapendo guardare al futuro con senso di responsabilità.”