I genitori sono terrorizzati – e giustamente – dalla sola idea che un insegnante possa fare del male al proprio figlio. Per “male” si intende di tutto: dalla violenza comportamentale fisica (sotto forma di sberle, strattonamenti, castighi) a quella verbale e gestuale (urla, insulti, parolacce, offese, minacce), dalle note in condotta ai giudizi negativi o comunque “umilianti”.
Ora, preoccuparsi per l’incolumità psico-fisica del proprio bambino è un discorso (ed è sacrosanto), ma contestare qualsiasi genere di intervento correttivo è un altro.
Quando si sospetta che un bambino del nido o della scuola materna – quindi ancora molto piccolo e indifeso – subisca delle angherie da parte dei propri educatori, è giusto preoccuparsi e chiedere l’installazione di telecamere nascoste in modo da appurare la verità e sporgere denuncia contro chi si dimostra palesemente inadatto a svolgere il proprio lavoro (tanto più delicato quanto più acerba è l’età degli allievi).
Ma, quando un bambino della primaria o delle medie porta a casa una nota di demerito (di qualunque tipo essa sia) e si lamenta di averla ricevuta, che senso ha prendere subito le sue difese e correre a contestarla, magari anche incolpando o, peggio, insultando l’autore del provvedimento? Non varrebbe la pena di fermarsi un attimo a riflettere e domandarsi se per caso quella nota sia stata del tutto motivata?
I bambini vanno a scuola per imparare, imparare in senso lato: non solo a leggere, scrivere e saperne di più, ma anche a misurarsi, confrontarsi con gli altri, vincere o perdere… Insomma, per imparare a vivere.
E che vita sarebbe se non ci fossero anche i rimproveri, i limiti, le delusioni? Tutte cose che è meglio sperimentare fin da piccoli, gradualmente, in modo che sia più facile accettarne un po’ per volta l’esistenza. Viceversa, l’eccesso di protezione finisce per ostacolare il normale, progressivo processo di socializzazione e integrazione.
C’è poi anche un altro problema da considerare. Che i genitori stravedano per il proprio figlio e lo difendano è più che normale, ma questo non dovrebbe precludere loro la possibilità di guardare la situazione anche da un altro punto di vista. Il punto di vista degli insegnanti, che oggi non riescono più a svolgere il loro ruolo con serenità, terrorizzati come sono di sbagliare in qualcosa, di venire attaccati o insultati dagli studenti, di sentirsi continuamente criticati dai genitori, privati di ogni forma di fiducia, sminuiti nel loro compito e non supportati dalle istituzioni. Il problema, tra l’altro, non è solo italiano, ma di tutta l’Europa.
Emblematica a questo proposito la tragica fine del maestro francese che insegnava alla scuola primaria di Eaubonne, un comune a nord di Parigi.
Questo bravo educatore di 57 anni, una lunga esperienza alle spalle, chiede a un suo allievo di 6 (dico 6!) anni, seduto sui gradini, di spostarsi per lasciar passare i compagni: lui protesta e non si muove. Dopo vari inviti senza risultato, il maestro solleva di peso il piccolo ribelle. L’indomani la madre del bambino sporge denuncia per “violenze aggravate su minore”. Il maestro viene convocato dal direttore della scuola per una spiegazione a sua discolpa, mentre altri genitori lo insultano sul telefonino.
Conclusione: la sera stessa il maestro dice alla moglie che ha bisogno di prendere un po’ d’aria ed esce all’aperto. Lo trovano impiccato a un albero del bosco vicino. Lascia una lettera per dire che non ce la fa a sopportare queste accuse assurde.