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Salutata da un lungo applauso e da una Tour Eiffel illuminata dalla scritta “Mon corps, mon choix”, “Il mio corpo, la mia scelta”, è stata proclamata in Francia la legge che introduce il diritto di aborto nella Costituzione. Vediamo quindi nel concreto cosa significa questa scelta e quale è la situazione negli altri Paesi europei con un’attenzione particolare all’Italia.
Cosa vuol dire che diritto all’aborto entra nella Costituzione francese
Alla vigilia dell’8 marzo, il Parlamento francese ha deciso: il diritto all’aborto in Francia entra nella Costituzione. Riuniti nella storica residenza reale di Versailles, i 925 parlamentari francesi hanno approvato per così dire all’unanimità, con 780 voti favorevoli e solo 72 contrari, l’inserimento del diritto all’aborto nella carta che sancisce i diritti dei cittadini. Un passo storico che fa della Francia il primo Paese a tutelare direttamente nella Costituzione il diritto della donna di scegliere l’interruzione di gravidanza. Una proposta fortemente caldeggiata dal presidente francese Macron, anche in risposta alla revoca del diritto di aborto in alcuni Stati Usa, che ha trovato forti consensi tra la popolazione: secondo i sondaggi l’80% dei francesi ha dato il proprio consenso all’approvazione della legge che ha portato il diritto all’aborto tra gli articoli della Costituzione. In realtà in Francia il diritto all’aborto è da tempo riconosciuto e praticato tanto da non trovare particolare opposizione in nessun schieramento politico. Introdurlo nella Costituzione permette in ogni caso di tutelarlo maggiormente e di riaffermarlo con decisione in un periodo in cui viene messo in discussione in molti Paesi, sia in Europa che oltreoceano. Non a caso Mathilde Panot, capogruppo del movimento radicale della France Insoumise, che ha portato avanti la lotta per inserire il diritto di aborto in Francia nella Costituzione, si è presentata in sede di voto indossando un abito verde e un foulard verde al polso sinistro in omaggio alle donne argentine che in questo periodo lottano per vedere riconosciuta l’IGV, l’interruzione volontaria di gravidanza. L’inserimento nella Costituzione francese del diritto di aborto non lede comunque in nessun modo il diritto dei medici all’obiezione di coscienza, per altro già costituzionale.
L’aborto negli altri Paesi europei
Per chi ha sostenuto che il diritto di aborto in Francia dovesse entrare a pieno nella Costituzione, l’approvazione da parte del parlamento rappresenta non solo una vittoria per il Paese, ma anche un monito alle altre nazioni perché procedano nella stessa direzione. Ecco perché vale la pena di analizzare, sia pur brevemente, quello che avviene fuori dalla Francia. Le condizioni di accesso all’aborto sono infatti molto diverse da Paese a Paese.
E se il diritto all’aborto in Francia è entrato nella Costituzione, in Polonia è quasi del tutto negato. In Polonia, infatti, l’aborto è consentito solo se la gravidanza è frutto di un’aggressione sessuale o di un incesto oppure se rappresenta una minaccia alla salute della donna. In questo quadro, molte donne ricorrono all’aborto clandestino, come denunciano i gruppi a sostegno dei diritti umani, esponendosi anche a gravi rischi. Chi può si reca all’estero, ma per la maggioranza delle donne la gravidanza rischia di diventare solo un’imposizione: nuovi leader di partito spingono per introdurre l’aborto legale e sicuro entro la dodicesima settimana di gestazione, ma la proposta, osteggiata dai vertici più alti dello stato, rimane solo una promessa.
Divieto totale di aborto a Malta, dove solo lo scorso anno è stata riconosciuta la possibilità di abortire in caso di grave rischio per la vita della donna. Situazione difficile per le donne anche in Ungheria, dove il diritto all’aborto è legale dal 1953, ma con regole inasprite nel 2022. La riforma ha introdotto infatti l’obbligo per le donne di sottoporsi a due consultazioni pre-aborto e di ascoltare il battito del feto prima di interrompere la gravidanza, pratica che deve essere certificata da un rapporto del medico. In Irlanda, aborto vietato fino al 2018: con un referendum storico l’IGV è diventata legale e gratuita entro la 12 settimana di gestazione. Gli attivisti per i diritti denunciano comunque una situazione di forte disuguaglianza all’interno del Paese con gravi difficoltà in alcune aree all’accesso alle prestazioni gratuite.
Nettamente diversa la situazione della Spagna dove l’aborto è legale e la legge prevede il diritto di accesso alle strutture pubbliche più vicine a casa. La normativa spagnola sull’aborto, modificata lo scorso anno, ha eliminato l’obbligo dei tre giorni di riflessione per la donna al momento in cui chiede di abortire, ha introdotto la possibilità per le minorenni, dai sedici anni, di abortire anche senza consenso dei genitori e ha sancito l’obbligo da parte dello Stato di garantire che ci sia personale sanitario disponibile a praticare gli aborti in tutti gli ospedali pubblici.
La situazione in Italia
In Italia l’aborto volontario è regolato dalla legge 194 del 22 maggio 1978 che consente alle donne, nei casi previsti, di poter interrompere la gravidanza in una struttura pubblica, sia un ospedale sia un poliambulatorio convenzionato con la regione di appartenenza. Prima di questa data l’aborto veniva considerato reato punibile con cinque anni di reclusione sia per la donna sia per chi eseguiva l’interruzione di gravidanza. La legge 194, pur riconoscendo il diritto alla vita dell’embrione e del feto, lascia quindi alla donna libertà di scelta nell’interrompere la gravidanza a tutela della sua salute fisica e mentale. Entro i primi 90 giorni di gestazione l’aborto viene ammesso su base volontaria: la donna può sceglierlo in base a una propria, personale e autonoma valutazione.
Dopo questo termine invece l’aborto è ammesso solo nei casi in cui il medico rilevi e certifichi una gravidanza che può costituire un pericolo per la vita della donna o per la sua salute fisica e psichica. Viene ammesso ad esempio nel caso di gravi anomalie genetiche del feto, di malformazioni dell’embrione oppure di patologie materne come tumori o forme psichiatriche. Tutte queste situazioni devono necessariamente essere certificate da un medico anche attraverso apposite indagini e consulenze specialistiche: la legge non precisa comunque entro quale limite di epoca gestionale può essere praticato l’aborto, ma stabilisce nell’articolo 7 che, nel caso in cui il feto abbia raggiunto uno sviluppo tale che gli consenta di sopravvivere fuori dall’utero (si parla in genere di 22-24 settimane) il medico debba mettere in atto tutti gli interventi che possono salvaguardare la vita del feto. E’ questa una delle maggiori criticità della legge 194: nel caso in cui sia fatta una diagnosi tardiva di grave patologia fetale, oltre la ventiduesima settimana, quando il feto ha raggiunto la possibilità di vivere al di fuori dell’utero, la donna è costretta spesso ad andare all’estero per abortire. Oltre quell’epoca gestazionale, infatti, bisogna provocare con i farmaci un travaglio abortivo e il medico che esegue l’aborto deve mettere in atto quanto possibile per salvaguardare la vita del feto, anche rianimandolo. Può succedere così che a gravi patologie dovute alla nascita si sommino altri danni provocando una condizione di pesante handicap nei nascituri.
Gli obiettori di coscienza
Per quanto la donna che decide di abortire sia tutelata per legge, ad oggi in Italia procedere a un’interruzione di gravidanza non è sempre semplice e immediato. Questo soprattutto per la presenza di un alto numero di obiettori di coscienza tra il personale sanitario. Secondo la relazione del Ministero della Salute presentata nel 2022 il 64,6% dei ginecologi italiani era obiettore di coscienza nel 2020, mentre erano obiettori di coscienza il 44,6% degli anestesisti e il 36,2% del personale non medico. Ma dati indipendenti mostrano una situazione ancora peggiore con 72 ospedali che presentano tra l’80 e il 100% di obiettori di coscienza tra il personale sanitario, 22 ospedali e quattro consultori con il 100% di obiettori tra tutto il personale sanitario, 18 ospedali con il 100% di ginecologi obiettori. Questo può causare ritardi nell’attuazione dell’interruzione di gravidanza spingendo a volte le donne a spostarsi in altre regioni. Le differenze tra i territori, infatti, sono notevoli e segnano, ad esempio, percentuali di obiettori molto alte in regioni come il Molise, la Puglia e le Marche. Va sottolineato in ogni caso che la presenza di medici obiettori in una determinata struttura non significa necessariamente che il diritto all’aborto non venga tutelato. Sono i direttori sanitari che devono farsi carico di garantire la possibilità di abortire, a prescindere dall’organico, organizzandosi ad esempio con contratti ad hoc di medici e personale sanitario e convenzioni con strutture che offrano il servizio di IGV.