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Le prime parole rappresentano il punto culminante di una complessa serie di sviluppi pre-linguistici che cominciano, alla nascita, con il pianto. In tutti i bambini c’è questa disponibilità genetica a decifrare gli stimoli vocali e rispondere a essi, emettendo suoni. È, però, attraverso l’interazione con gli altri (soprattutto mamma e papà) che il piccolo diviene gradualmente padrone del codice comune di comunicazione e arriva a pronunciare le sue prime parole.
Per questo, è fondamentale che i genitori stimolino il bambino, così che lui senta l’esigenza di parlare. Nei primi mesi la comunicazione verbale del neonato è casuale: il bebè emette diversi suoni per esprimere sensazioni ed esigenze, e per rispondere agli stimoli esterni, ma questi suoni non hanno ancora un senso compiuto, sebbene creino un legame con chi è intorno al piccolo. Si tratta, comunque, di una fase fondamentale: i vocalizzi e i gridolini del piccolo sono già un linguaggio, anche se non ci sono ancora le prime parole. Per esempio, con il pianto, il primo canale di comunicazione verbale del neonato, il bimbo esprime diversi bisogni e lo fa modulando la voce: c’è un pianto per la fame e uno per il dolore, un pianto che significa “prendimi in braccio” e un altro che dice “non voglio”.
A 6-7 mesi
la lallazione
Una tappa importante nello sviluppo del linguaggio è quella della “lallazione” cioè la produzione ripetuta di sillabe. Grazie alla maturazione della muscolatura orale e alla capacità di auto-ascolto, il bambino inizia a produrre forme articolate, dapprima semplici (ma-pa-ta) e poi sempre più complesse (mamama, tatata). Sono sequenze di suoni fondamentali, perché permettono al bimbo di esprimere, variando il ritmo e la melodia della sua voce, le proprie emozioni: la gioia, il dolore, la rabbia. La lallazione è, inoltre, uno strumento prezioso di scambio fra bambino e genitori: diventa un gioco ripetere i suoni emessi dal bimbo e cercare di produrne sempre di nuovi. I suoni prodotti dal bimbo, in questa fase, non hanno ancora un senso del tutto compiuto: quando lui dice “mamamama”, chiama mamma, ma rinforza anche la sua richiesta di attenzione.
Verso i 12 mesi
Intorno al primo anno di vita le produzioni vocali del bambino diventano sempre più intenzionali e ricche di significato. A volte, si possono distinguere dei veri e propri “discorsi”, non costruiti con parole, ma attraverso la melodia della voce e con suoni chiaramente articolati, magari prodotti più volte nel corso della stessa giornata, ma con un significato non sempre preciso. Sono molto frequenti queste sequenze di suoni (vocali e consonanti), a cui non si riesce a dare un significato compiuto: si parla allora di “protoparole”. In questa fase il cervello del bambino è già in grado di rappresentare ed evocare oggetti e situazioni, anche se non riesce ancora a pronunciare parole o a formulare una frase. Il suo linguaggio “mentale” è già sviluppato, quello vocale seguirà.
Fra i 12 e i 18 mesi
A questa età il bambino è molto interessato al linguaggio: ascolta e capisce ciò che gli viene detto. È in grado di distinguere dal solo tono della voce se gli si sta ordinando o proibendo qualcosa. Capisce molte più parole di quante ne sappia già usare. Inizia, comunque, a pronunciare qualche parolina legata al suo mondo concreto e alle sue necessità, per esempio mamma, acqua, pappa, papà. Spesso, una sola parola ha per il piccolo il valore di una vera e propria frase e può assumere diversi significati, se usata in contesti diversi. Il piccolo chiacchiera continuamente sia quando è da solo sia quando è con i famigliari usando un linguaggio di suoni e sillabe ben modulate, che simula quello degli adulti, ma che non ha alcun significato.