Capita spesso che se i genitori non mangiano cibi di origine animale, decidano di trasmettere le loro abitudini alimentari ai figli, in alcuni casi già dai primi mesi di vita a partire dallo svezzamento. Una scelta controversa e peraltro sconsigliata dalla maggior parte dei pediatri e dei nutrizionisti. Ma se proprio mamma e papà non vogliono rinunciarvi, è meglio che si affidino a uno specialista, che sappia indicare loro i dovuti accorgimenti per evitare squilibri nutrizionali della dieta del piccolo che potrebbero comprometterne lo sviluppo e la salute sia nel breve sia nel lungo periodo.
Secondo gli ultimi dati, il 7,3% circa della popolazione italiana ha scelto uno stile alimentare alternativo rispetto alla dieta onnivora. Di questa percentuale, il 5,4% è costituito da vegetariani (in calo rispetto al 2018) e l’1,9% è rappresentato da vegani (ancora in minoranza ma in costante aumento). Si tratta di scelte dettate da convinzioni salutistiche, ma anche da ragioni religiose, filosofiche, economiche o ambientali, che si trasformano in un vero e proprio stile di vita che coinvolge spesso tutta la famiglia e spesso influenza il regime dietetico dei bambini fin dallo svezzamento.
La nutrizione dei bambini richiede sempre attenzione, perché da essa dipendono il completamento dei processi di sviluppo degli organi, la velocità di accrescimento della prima infanzia, il consolidamento delle abitudini alimentari e il volume dei depositi tissutali dei nutrienti essenziali, quali il calcio e il ferro. La scelta di uno stile alimentare particolare, come appunto quello vegano, richiede dunque ancora più cura – a partire proprio dallo svezzamento -, perché la minore varietà di cibi che caratterizza questo tipo di dieta rispetto a quella onnivora rende più complesso l’approvvigionamento dei nutrienti necessari in fase di crescita ed espone più facilmente i piccoli al rischio di carenze o squilibri nutrizionali e ritardi nello sviluppo.
La maggior parte dei pediatri e dei nutrizionisti è contraria allo svezzamento vegano e all’alimentazione vegana in età pediatrica in generale. Questo stile dietetico è, infatti, considerato troppo restrittivo e, se non attentamente pianificato e monitorato, incapace di assicurare la varietà e le giuste proporzioni di nutrienti necessari allo sviluppo del bambino.
Da molti studi è infatti emerso che i piccoli vegani hanno uno sviluppo psicofisico più lento rispetto ai coetanei onnivori o vegetariani, e sono maggiormente esposti al rischio di gravi squilibri nutrizionali dovuti non solo all’esclusione di intere classi di alimenti, ma anche al tentativo dei genitori di compensare con prodotti alternativi, cibi pronti o confezionati, spesso iperprocessati e quindi meno salutari di quelli freschi.
Allo stato attuale, poi, non esistono prove scientifiche che dimostrino i vantaggi dello svezzamento vegano per quanto riguarda la prevenzione di malattie in età pediatrica. A tal scopo la maggior parte degli esperti continua a considerare preferibile la dieta mediterranea, basata sul consumo prevalente di alimenti vegetali con l’aggiunta di un limitato apporto di prodotti animali.
Durante la prima infanzia i danni potenziali di una dieta vegana non correttamente pianificata possono essere particolarmente gravi: scarsa crescita, rachitismo, atrofia cerebrale, deficit cognitivi irreversibili e perfino la morte.
Il deficit di vitamina B12 (sostanza presente solo negli alimenti di origine animale e in particolar modo nella carne) è la carenza più importante derivante da una dieta vegana, poiché gli alimenti che la compongono ne contengono meno del 20% della dose giornaliera raccomandata. I sintomi iniziali sono difficili da diagnosticare, ma possono evolvere in anemia, anoressia, ipotonia, ritardo nello sviluppo neurologico, atrofia cerebrale. Altre frequenti carenze nutritive legate al regime vegano riguardano la vitamina D, il ferro, lo zinco, i folati, gli acidi grassi Omega 3, le proteine e il calcio.
La dieta vegana può, infine, provocare un deficit energetico cronico, in quanto basata su alimenti ad elevato carico calorico ma che non danno sazietà a lungo termine.
I bambini svezzati secondo lo stile alimentare vegano devono essere strettamente controllati relativamente alla crescita e allo sviluppo da parte di personale sanitario qualificato. Per questo i genitori che – nonostante il parere generalmente contrario dei medici – intendono effettuare ugualmente questo tipo di scelta, devono affidarsi ai consigli e alla supervisione di un pediatra, affiancato da un nutrizionista esperto in nutrizione pediatrica, che li inforrmi sui possibili rischi di questo tipo di alimentazione in età neonatale, pianifichi la dieta, monitori i progressi del piccolo e provveda a integrare eventuali carenze alimentari.
Come per tutti i bambini, anche per quelli vegani il passaggio dal latte al cibo solido comincia solitamente verso i 6 mesi di vita, ma può avvenire in tempi differenti a seconda del ritmo di crescita e del grado di sviluppo del piccolo. In ogni caso, deve essere graduale e complementare all’allattamento e prevedere l’introduzione di un nuovo cibo per volta in modo da rendere facilmente riconoscibili eventuali fonti di allergia. Generalmente si comincia con i cereali (meglio se a base di riso fortificati con ferro), per poi passare a frutta (tranne gli agrumi, comunemente allergenici) e verdure delicate (patate, carote, piselli, fagiolini). A 7-8 mesi è possibile introdurre anche alimenti ricchi di proteine vegetali (tofu, e yogurt di soia, legumi e creme di frutta secca).
3 Consigli in più
Per essere sicuri di compiere le scelte più indicate per il proprio bambino in tutte le fasi della sua crescita, i genitori dovrebbero sempre:
- compilare un diario alimentare riguardante la dieta del bebè, da sottoporre alla valutazione del nutrizionista pediatrico che ne segue lo svezzamento;
- alternare alimenti della stessa classe, così da garantire la complementarietà dei nutrienti e compensare gli squilibri nutrizionali legati alla dieta ristretta;
- valutare modelli nutrizionali alternativi, come la dieta pesco-vegetariana (che esclude solo la carne ma ammette il pesce), quella Lov (latto-ovo-vegetariana, che esclude carne e pesce ma ammette qualunque alimento di origine animale come latte e derivati, uova , miele, funghi, alghe), meno restrittive.
Per evitare carenze nutritive e relative conseguenze, gli esperti sottolineano la necessità di integrare la dieta vegana in età pediatrica con supporti nutraceutici (dall’effetto medicale) in grado di assicurare adeguati livelli di tutte le sostanze necessarie al corretto sviluppo del bambino. In realtà, tale integrazione dovrebbe iniziare già durante la gravidanza se la mamma è vegana, e proseguire durante l’allattamento, per assicurare al feto prima e al neonato poi adeguate quantità di vitamina B12, ferro e zinco. Per favorire la sintesi di vitamina D (presente in relative quantità soprattutto nel latte vaccino) è consigliata inoltre una buona esposizione del piccolo alla luce solare (da 20 a 30 minuti in estate due o tre volte al giorno), mentre per coprire adeguatamente il fabbisogno calorico durante tutto l’arco della giornata, può essere offrire al piccolo alimenti a lento rilascio energetico (cereali senza aggiunta di crusca, frutta secca, olio extravergine di oliva).