Il vomito nel neonato: da cosa è provocato?

Laura de Laurentiis A cura di Laura de Laurentiis Pubblicato il 13/01/2015 Aggiornato il 04/11/2019

Contrariamente a quello che in genere si pensa, è raro che il rigurgito sia espressione di qualcosa che non va, ovvero sia sintomo della “malattia da reflusso”. Quest’ultima è caratterizzata da un arresto della crescita e da un generale stato di abbattimento del bambino. Per quanto riguarda il vomito, interessa i bambini dopo l’introduzione dei primi alimenti diversi dal latte.

Il vomito nel neonato: da cosa è provocato?

rigurgito e reflusso: facciamo chiarezza

I neonati rigurgitano spesso, a volte subito dopo ogni poppata, quindi nei primi giorni se sette-otto sono le poppate sette-otto sono i rigurgiti. Anche se molte neomamme si preoccupano a fronte di questa manifestazione di fatto, non ce ne è alcun motivo perché il rigurgito è un fenomeno assolutamente normale, che non ha alcun significato dal punto di vista medico, salvo il caso in cui interferisca con la crescita. Per quanto riguarda il vomito, nel linguaggio comune allude all’emissione del cibo solido che lo stomaco non è riuscito a digerire, per cui è un’eventualità che può comparire dopo l’introduzione dei primi alimenti diversi dal latte.

L’ambiguo caso del “rigurgito” e del “reflusso gastroesofageo”

Comunemente si tende a chiamare rigurgito l’emissione di latte che segue la poppata e che non segnala la presenza di alcun problema né comporta alcuna conseguenza e a definire “reflusso gastroesofageo” l’emissione di latte dopo la poppata che interferisce con la crescita e mantiene il neonato in una condizione di malessere generale. In realtà di due termini alludono a due identiche condizioni:

  • il rigurgito è l’espressione del reflusso gastroesofageo ovvero è il latte che torna indietro dallo stomaco (anche parzialmente digerito, quindi cagliato). La consistenza liquida del latte favorisce il rigurgito. E’ più frequente nei bambini che succhiano voracemente e rapidamente. Di solito non è preceduto da malessere (o al massimo da una lieve sensazione di fastidio) e nel momento in cui si verifica non provoca particolare disagio al bambino, come dimostra il fatto che in genere il bambino non piange subito dopo e, quando è il momento, reclama la poppata successiva dimostrando un buon appetito.
  • il reflusso gastroesofageo è il movimento che comporta l’emissione del rigurgito, ovvero del latte che dallo stomaco torna alla bocca. Nei primi mesi di vita è dovuto a una ancora scarsa tenuta del cardias, la valvola che collega l’esofago con lo stomaco e che si apre per consentire il passaggio del cibo e si richiude dopo il passaggio per trattenerlo all’interno. A mano a mano che passano i mesi la sua funzione diventa più efficace.

Il reflusso gastroesofageo è benigno se …

Nella stragrande maggioranza dei casi il rigurgito, che è sempre conseguenza del reflusso gastroesofageo, si può dire che sia il suo concretizzarsi, è benigno, cioè non comporta alcuna conseguenza e non esprime nulla di significativo dal punto di vista pediatrico. Il criterio con cui stabilire la benignità del rigurgito è la crescita del bambino e la sua condizione di benessere generale. Non c’è da preoccuparsi del reflusso:

  • se la crescita avviene regolarmente e senza arresti (almeno 180 grammi alla settimana, nel corso dei primi tre mesi di vita);
  • se il bambino dorme tranquillo, non è irritabile, appare vivace, reattivo, succhia con appetito, non piange dopo la poppata.

Il reflusso gastroesofageo è una malattia se …

In una piccola percentuale di casi il rigurgito è talmente significativo da avere conseguenze sulla crescita che può rallentare sensibilmente o addirittura subire un arresto. Ma non solo: il bambino può apparire abbattuto, poco reattivo, e il suo pianto può essere lamentoso.

Si parla allora di “malattia da reflusso”. Il pianto è dovuto al fatto che il rigurgito è così frequente da esporre l’esofago a un continuo contatto con i succhi gastrici che, dallo stomaco, refluiscono insieme al latte.

L’esofago a differenza dello stomaco non ha protezione contro l’azione corrosiva dei succhi gastrici: questo comporta la comparsa di una sensazione di bruciore che disturba non poco il bambino. Ma non solo: la crescita rallenta o peggio subisce un arresto perché il bambino non solo restituisce del latte ma tende a mangiare meno.

In caso di malattia da reflusso (rara!) il pediatra può addirittura consigliare di anticipare lo svezzamento perché spesso tutto si risolve con l’introduzione dei primi alimenti solidi più facili da trattenere per lo stomaco.

Fermo resta che l’alimentazione complementare (così viene definito oggi lo svezzamento) non può essere iniziata prima delle 17 settimane di vita compiute.

La causa della malattia da reflusso è una debolezza del cardias più marcata di quanto non lo sia “fisiologicamente” nei primi tempi dopo la nascita. L’anomalia è frequente nei nati prematuri. In ogni caso la situazione deve essere gestita dal pediatra e non con il fai-da-te.

Da sapere

Per limitare la frequenza dei rigurgiti è opportuno cercare di rallentare il ritmo di suzione del bambino, magari staccandolo per qualche istante dal capezzolo nel corso della poppata (da non fare però se questo lo fa arrabbiare!).

Al termine della poppata è opportuno tenerlo in braccio, diritto, per almeno una ventina di minuti. Se lo si sdraia nella culla o in carrozzina, sollevare il materasso all’altezza della sua testina e del suo torace.

Questioni di lingua

Si dice reflusso o riflusso? I due termini in realtà sono sinonimi: derivano infatti entrambi da flusso e i due prefissi “re” e “ri” sono equivalenti e significano “ritorno”. In realtà però riflusso è usato prevalentemente in ambito chimico o per alludere al ritirarsi del mare durante la bassa marea.

Reflusso si usa invece in medicina per descrivere un flusso di ritorno anomalo di un liquido da un organo a un altro, in senso contrario a quello normale.

Il vomito

Si parla di vomito per alludere all’emissione dallo stomaco di cibo solido non digerito, provocata a una contrazione della muscolatura dello stomaco stesso. L’attacco di vomito è preceduto da malessere generale, nausea, capogiro e seguito dalla scomparsa quasi immediata dei sintomi.

Il vomito può essere considerato un meccanismo di difesa che l’organismo utilizza per liberarsi di cibi che non riesce a digerire e che quindi fermentano nello stomaco, aprendo la strada al rischio di intossicazioni. L’incapacità di concludere la fase digestiva a livello dello stomaco che induce l’organismo a vomitare può essere dovuta ai più svariati motivi tra cui i più frequenti sono:

  • troppo cibo ingerito;
  • esposizione al freddo durante la prima fase della digestione;
  • assunzione di alimenti avariati;
  • introduzione di bocconi di cibo non masticati (più raro);
  • fase acuta di malattie che disturbano l’attività dello stomaco (tra queste, l’appendicite acuta e le gastroenteriti).

Cosa fare

  • Dopo un episodio di vomito è sufficiente dare al bambino da bere dell’acqua con un cucchiaino;
  • se il vomito è ripetuto e si associa a febbre è opportuno dargli invece una soluzione reidratante glucosalina (si prepara con apposite bustine che si acquistano in farmacia);
  • vanno bene anche le bevande a base di cola, da offrire in piccolissime quantità, sempre con un cucchiaino.

Non è vero che …

Comunemente si pensa che dopo un episodio di vomito sia meglio tenere il bambino a digiuno. Non è vero o, meglio, non lo è se il bambino dimostra di avere appetito e chiede qualcosa da mangiare.

In questa eventualità è opportuno accontentarlo: vanno bene per esempio, i cracker, il riso bollito, i biscotti secchi, le fette biscottate, la mela.   Non bisogna invece insistere affinché mangi se dimostra di non gradirlo.

La regola a cui attenersi deve essere quella di rispettare il suo rifiuto o assecondare la sua richiesta.

L’acetonemia

L’organismo attinge l’energia necessaria per muoversi, correre, saltare dallo zucchero che si trova nel sangue e che si introduce assumendo carboidrati (pane, pasta, biscotti, frutta, verdura, legumi). Se in circolazione c’è poco zucchero l’organismo è costretto a ricorrere ai grassi che rappresentano una fonte di energia alternativa.

In questa eventualità, ovvero quando le riserve di grasso vengono ‘bruciate’ si formano nell’organismo i cosiddetti ‘corpi chetonici’, tra i quali si trova soprattutto l’acetone che dà il nome a un disturbo relativamente frequente nell’infanzia: l’acetonemia. I sintomi di questa condizione sono:

  • malessere generale;
  • nausea;
  • affaticabilità;
  • alitosi.

Cosa sono i corpi chetonici

I corpi chetonici sono sostanze di scarto che l’organismo elimina, a mano a mano che si formano, sia attraverso la pipì sia attraverso l’aria che esce dai polmoni. Da qui il caratteristico odore di mela guasta dei bambino interessato da acetonemia.

Un disturbo non significativo

L’acetonemia non è rilevante dal punto di vista medico, scompare spontaneamente con il passare dei giorni a mano a mano che l’alimentazione del bambino torna a essere regolare e non lascia nessuna conseguenza seria.

Cosa provoca l’acetonemia

L’acetonemia è causata da un digiuno prolungato. Si instaura spesso come conseguenza del vomito prolungato o di malattie febbrili che privano il bambino di appetito.

Cosa fare

L’acetonemia si risolve nel momento in cui il bambino ricomincia a mangiare regolarmente carboidrati (in particolare, pane, pasta, riso, patate, fette biscottate), per cui è opportuno proporglieli a partire da quando recupera l’appetito. Bene anche la frutta e la verdura, meglio se cotte perché più digeribili. Allo stesso tempo, è bene ridurre i grassi e limitare (come del resto sempre si dovrebbe fare) la quantità di proteine. E’ utile anche dare da bere al bambino una soluzione reidratante glucosalina.  

Consulenza del dottor Paolo Pantanella, pediatra e gastroenterologo.

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