L’ernia ombelicale nel lattante si manifesta come una tumefazione che si nota a livello dell’ombelico. Colpisce dal 10 al 20 per cento dei neonati. L’ernia ombelicale verifica perché i muscoli dell’addome non si sono ancora saldati tra loro e dunque possono lasciare aperto un passaggio, una breccia attraverso cui il viscere fuoriesce formando una specie di pallina in corrispondenza dell’ombelico. L’ernia ombelicale tende a regredire da sola, di solito nell’arco dei primi 18-24 mesi di vita: infatti, si può osservare una progressiva riduzione delle dimensioni, fino alla sua sparizione. Non si tratta dunque di una patologia, ma di una situazione che normalmente non dà alcun tipo di complicanza. Una volta, le nonne consigliavano di mettere una monetina o un cerotto sopra questo rigonfiamento e di fissarla ben stretta con una fascia, pensando che servisse a farla regredire. In realtà, questo non serve a nulla.
Quando si interviene
In alcuni casi l’ernia ombelicale non regredisce completamente: se il bambino ha meno di tre anni, si tiene semplicemente sotto osservazione per due motivi. Anzitutto perché fino a quell’età c’è la possibilità di una guarigione spontanea. Inoltre, si preferisce operare i bambini affetti da questo tipo di ernia dopo i tre anni perché, a differenza dell’ernia inguinale, quella ombelicale non si complica mai, salvo casi eccezionali. Solo se l’ernia non regredisce o, addirittura, tende ad aumentare di volume dopo i tre anni di vita, si interviene. Si tratta di un intervento di routine, che consiste nel praticare una piccola incisione al margine inferiore della cicatrice ombelicale, quindi si isola il foro attraverso il quale fuoriesce l’ernia, si chiude con dei punti e si fa una sutura della pelle dell’ombelico. L’intervento viene praticato in regime di day hospital o al massimo con una notte di ricovero e di osservazione in ospedale.