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In genere, la diagnosi di autismo non viene posta prima dei tre-quattro anni. Già all’ospedale Burlo Garofolo di Trieste sono stati avviati due progetti di ricerca per individuare i bambini con autismo a 12-18 mesi. Ma i primi segnali della malattia potrebbero comparire già entro i sei mesi di vita. È questa la conclusione cui è giunto uno studio condotto da un team di ricercatori americani, del Marcus Autism Center e della Emory University School of Medicine di Atlanta, pubblicato sulla rivista Nature.
La diagnosi è in genere tardiva
L’autismo è un disturbo dello sviluppo, di origine neurobiologica. La maggior parte dei bambini colpiti riceve una diagnosi attorno ai tre-quattro anni. Eppure, identificare precocemente l’autismo sarebbe essenziale. Infatti, le ricerche dimostrano che i bambini che vengono trattati in maniera tempestiva presentano dei progressi significativi sul piano cognitivo, emotivo e sociale. In effetti, intervenire a un’età in cui alcuni processi di sviluppo possono essere ancora modificati dà maggiori garanzie di successo.
Tante cause alla base del ritardo dell’identificazione
Il ritardo nell’identificazione dei segni precoci dell’autismo è legato a diversi fattori. Innanzitutto i genitori, soprattutto se al primo figlio, hanno difficoltà a capire se il suo sviluppo non segue un andamento normale. Anche i pediatri e gli educatori che non hanno una grande esperienza con la sintomatologia precoce dell’autismo, possono banalizzare i primi segnali. Senza dimenticare che gli strumenti diagnostici oggi utilizzati, a parte qualche test specifico per i 18-24 mesi in forma di questionario che può fare il pediatra con un apposito programma sul computer, non sono adatti alla più tenera età. Ecco perché si stanno conducendo numerosi studi con l’obiettivo di favorire una diagnosi precoce della malattia. Quello americano è uno di questi.
Attenzione a come i bambini rispondono agli stimoli
Gli autori hanno esaminato due gruppi di bambini. I piccoli del primo gruppo presentavano un rischio elevato di autismo perché avevano un fratello maggiore autistico. I bimbi del secondo gruppo, invece, erano a basso rischio perché non avevano casi di malattia nei parenti di primo, secondo e terzo grado. Gli studiosi hanno valutato il modo in cui i partecipanti rispondevano agli stimoli esterni, utilizzando l’Eye Tracking. Si tratta di una tecnologia che consiste nella rilevazione del movimento degli occhi e la relativa traduzione in azioni concrete.
Attenzione in calo
Dall’analisi dei risultati, è emerso che nei bambini che hanno poi avuto una diagnosi di autismo, l’attenzione verso lo sguardo di altre persone aveva subito un calo costante dai due mesi fino ai 24 mesi. Gli studiosi hanno concluso che, evidentemente, già nei primissimi mesi di vita compaiono segnali misurabili e identificabili di autismo. Inoltre, hanno spiegato che nei bimbi piccoli che svilupperanno la malattia non si ha una vera e propria assenza di attenzione, ma un lento e costante declino. Si tratta di due informazioni essenziali per la definizione di eventuali linee guida per la diagnosi precoce.