Argomenti trattati
I neonati prematuri hanno più probabilità di avere elevati livelli di insulina alla nascita e nella prima infanzia rispetto ai nati a termine. Lo affermano i risultati di uno studio, condotto da Guoying Wang della Bloomberg School of Public Health di Baltimora, e pubblicato sulla rivista Journal of American Medical Association.
Insulina sotto controllo
La ricerca ha coinvolto 1.358 bambini nati fra il 1998 e il 2010, seguiti per un periodo di tempo compreso fra il 2005 e il 2012. Gli scienziati hanno misurato i livelli di insulina alla nascita e durante la prima infanzia. Questi ultimi sono risultati inversamente proporzionali all’età gestazionale alla nascita. Secondo i ricercatori si tratta di una prova incontestabile del fatto che i bambini nati prematuri rischiano più degli altri lo sviluppo di una condizione di insulino-resistenza e di conseguenza il diabete di tipo 2 in età adulta.
I fattori di rischio
I dati ottenuti dalla ricerca rivelano un aspetto preoccupante anche alla luce del fatto che continua ad aumentare l’incidenza dei bambini nati prima del termine fatidico delle 40 settimane di gestazione. Negli Stati Uniti, nasce prematuro un bambino su nove. “C’è una crescente evidenza che gli eventi della vita fetale e neonatale possono causare alterazioni metaboliche permanenti, tra cui il diabete di tipo 2 e la sindrome metabolica, una combinazione di fattori di rischio che aumenta il rischio di malattie cardiache, diabete e ictus» ha affermato Guoying Wang.
Fondamentale una prevenzione precoce
Anche se gli studi condotti su adulti e bambini sostengono l’ipotesi che la nascita pretermine può comportare alterazioni metaboliche sfavorevoli, non è chiaro se l’associazione osservata tra prematurità, futura insulino-resistenza e diabete di tipo 2 derivi da alterazioni nel metabolismo dell’insulina nel feto in gestazione o nella prima infanzia. Studi come questo rivelano quanto sia importante la prevenzione precoce del diabete, sottolineando la necessità di ricerche rigorose su quali strategie, da adottare nelle prime settimane di vita o addirittura in gestazione, potrebbero contribuire alla riduzione del rischio di malattie croniche nei neonati.