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I neonati non riconosciuti in ospedale sono un fenomeno tutt’altro che circoscritto in Italia. Ogni volta che si ha notizia di un caso del genere, la sensazione è quella che si tratti proprio di una situazione limite, molto remota. In realtà, non è proprio così.
Dati allarmanti
Secondo quanto è emerso da un’indagine condotta dalla Società italiana di neonatologia (Sin) insieme a Fondazione Francesca Rava, N.P.H. Italia Onlus e al Network KPMG, in Italia nel giro di un anno sono stati ben 56 i neonati non riconosciuti dalla madre in ospedale, considerando un totale di 80.060 bambini nati. I dati sono stati raccolti in 100 Centri nascita italiani. E questi sono i numeri ufficiali, In realtà, sono ancora poche le donne che sanno di poter partorire in forma anonima, quindi il sommerso fa pensare a un numero ancora maggiore di neonati non riconosciuti nati al di fuori quindi delle strutture sanitarie preposte.
Crisi economica e disagio sociale
I numeri sono risultati talmente allarmanti, da portare alla nascita di un vero e proprio “Rapporto sulla situazione dei bambini non riconosciuti alla nascita”. Le ragioni del non riconoscimento sono diverse, spiccano le motivazioni di tipo economico e di disagio sociale. Ragionando in numeri, il 62,5% dei neonati non riconosciuti è partorito da mamme straniere, il restante numero da madri italiane. L’età materna di riferimento pare essere compresa tra i 18 e i 30 anni, la maggior parte di queste donne inoltre ha partorito in città diverse da quella di residenza. Quasi la metà non è sposata e solo il 20% ha un diploma di scuola media superiore.
Disagio e senso di solitudine
Difficoltà economiche e disagio psichico o sociale sono ai primi posti tra le motivazioni di abbandono del neonato. Unitamente alla sensazione di essere lasciate sole da tutto (dallo Stato, in primis) e da tutti. Inoltre, considerando le condizioni di vita, spesso disumane, dei migranti (donne comprese), molte mamme straniere hanno paura di essere espulse, così come di crescere un figlio da sole e senza lavoro in un Paese che spesso si mostra ostile o, comunque, ancora troppo lontano da forme realmente inclusive di integrazione.
La ruota degli esposti
Un tempo era la ruota della “disperazione”, oggi è tornata in versione rinnovata in alcuni ospedali, ma sempre di ruota degli esposti si tratta. Un dispositivo sicuro per lasciare il piccolo nel totale anonimato, ma pronto per essere accudito in una struttura adeguata.
Una realtà molto triste
Come spesso accade, si tende a mettere dei pannicelli caldi sui problemi sociali, al fine di limitare i danni di alcuni disagi. Anche in questo caso, più che la tutela dell’anonimato sarebbe fondamentale concentrare risorse, economiche e umane, per sostenere le donne in difficoltà. E non dovrebbe trattarsi di solo volontariato, ma di una vera e propria rete di politiche sociali, volte a seguire la mamma sia durante la gravidanza sia dopo. Il tutto, con l’aiuto attivo di consultori e servizi sociali.