Si tratta di un atteggiamento ben preciso che Spitz, uno studioso che ha analizzato negli anni Quaranta molti bambini di questa età, ha definito come “l’angoscia dell’estraneo”.
Questa fase è una sorta di spartiacque per il bimbo fra un comportamento di curiosità e interesse verso tutto ciò che lo circonda, tipico dei primi mesi di vita, e la differenziazione netta fra familiare e non familiare, fra la mamma e le altre persone. È normale in questo periodo, quindi, che il piccolo non voglia mai separarsi dai genitori, che pianga e urli se viene lasciato con altre persone che non conosce bene. A volte anche i nonni, pur frequentando l’ambiente del bimbo, possono essere vissuti da lui come estranei e fargli improvvisamente paura.
Fa parte della crescita
Il timore degli estranei è una fase normale, che attraversano tutti i bambini, anche se con tempi e modalità diversi. Si tratta, infatti, di un’importante tappa della crescita ed è la testimonianza del profondo legame che si è istaurato tra madre e figlio. Nei primi mesi di vita il bimbo vive in simbiosi con la mamma, formando con lei quasi un’unica entità. È solo dopo, intorno all’ottavo mese, che prende coscienza della propria autonomia e comincia a formarsi come personalità distinta. Una volta compreso di non essere sempre “unito” alla mamma, ha paura di perderla e vuole stare sempre con lei. Qualsiasi persona estranea, inoltre, viene vista come altro da sé e può incutergli timore. Questa fase deve essere interpretata come un buon segnale del processo di crescita e della presa di coscienza di sé e degli altri. La paura degli estranei, a questa età, quindi, non è correlata al carattere del bambino perché anche i piccoli più estroversi possono attraversarla.
Si supera per gradi
Come per ogni fase dello sviluppo, non esistono tempi e modalità uguali per tutte le persone. Il passaggio dalla paura degli estranei alla gioia di stare in mezzo agli altri può richiedere, quindi, periodi diversi da bambino a bambino. Il piccolo non ha più timore di stare con altre persone in assenza del genitore quando arriva a percepire che la mamma, anche se va via, poi torna. Questo è reso possibile dal fatto che il bimbo ha interiorizzato la figura materna, traguardo importante che testimonia la costituzione di un senso di sé e dell’acquisizione di una fiducia nelle proprie capacità.
- In linea di massima, quindi, questa paura viene superata, almeno nella sua fase più acuta, nel giro di qualche mese. Occorre, però, attendere i due-tre anni di vita perché il piccolo risulti completamente autonomo e capace di sopportare lunghe separazioni dai genitori con la certezza che essi ritornino.
Se coincide con il rientro al lavoro della mamma
La paura degli estranei è una fase dello sviluppo indipendente dal fatto che la mamma torni a lavorare. È vero, però, che se questi due eventi capitano contemporaneamente, possono essere vissuti dal bambino con maggiore intensità. È consigliabile che la mamma prepari in anticipo il bimbo al suo rientro al lavoro, inserendolo gradualmente al nido o abituandolo con pazienza e tanta calma alla nonna o alla baby-sitter che si occuperà di lui. In questo modo, sarà meno traumatico per il piccolo separarsi dal genitore e non percepirà come un assoluto “estraneo” la persona che si occuperà di lui. Se, nonostante tutto, il bimbo dovesse reagire male alla lontananza della mamma, è bene, nel limite del possibile, cercare di assecondare il piccolo, adeguandosi alle esigenze e ai bisogni che esprime in questa fase. Si può, per esempio, cercare di ridurre le ore che si passa fuori casa o prendere un periodo di permesso per stargli accanto.
I giochi che aiutano
In questa fase nel bambino è in atto un lavoro psichico molto importante: abituarsi, in certi momenti, ad avere soltanto un’immagine in mente della mamma e sapere che, anche se lui non la vede e non la tocca, lei c’è e ritorna. È un passaggio emotivo importante che è ben rappresentato dai giochi che il piccolo ama fare in questo periodo, perché attraverso loro sperimenta la realtà senza provare ansia. Si tratta di lavori simbolici che, attraverso l’apparire e lo scomparire, insegnano al piccolo ad acquisire la sicurezza che tutto ritorna, che la situazione di partenza può ripresentarsi uguale. Uno dei giochi che possono fare mamma e bimbo è quello del “bau-sette”: il genitore nasconde il viso dietro a qualche schermo e poi lo fa comparire subito dopo, provocando nel piccolo reazioni di gioia. Il bimbo segue la scomparsa del volto amico con attenzione e un fondo di preoccupazione, ma alla sua ricomparsa si agita divertito. Una volta che il piccolo si sarà abituato alle dinamiche di questo gioco, l’assenza della persona cara non lo preoccuperà più, perché si concentrerà sull’attesa di rivederla presto.
Il ruolo del papà
Il padre può intervenire efficacemente in questa fase e aiutare il piccolo a rimanere sereno. Innanzitutto, dovrebbe riconoscere il significato e il valore della coppia mamma e bimbo, cercando di proteggerla e tutelarla. Per consentire al piccolo di stare più tempo con la mamma, il papà, per esempio, può occuparsi delle faccende domestiche, così da lasciare maggiormente libera la compagna. È utile, inoltre, che il papà cerchi di stare vicino il più possibile al bambino, così da stimolarlo ad acquisire sicurezza e a superare questa fase. Il bimbo, infatti, vede nella figura paterna un riferimento importante per crescere e diventare autonomo. Per il piccolo, il papà è al tempo stesso una persona diversa dalla mamma ma familiare, in quanto è abituato alla sua presenza fin dalla nascita. Stare con lui diventa quindi un’ottima occasione per imparare a socializzare.
I consigli per i genitori
Questo temporaneo momento di crisi del bambino deve essere vissuto dalla famiglia senza ansia e preoccupazioni: va letto soltanto come un maggior bisogno di protezione da rispettare. Per questo occorre assecondare le esigenze del piccolo, cercando di dargli tutta la sicurezza di cui ha bisogno. Il bimbo in questa fase ha bisogno di essere rassicurato e al tempo stesso stimolato. Non va ritirato dal mondo, dai rapporti sociali, con un atteggiamento iperprotettivo, ma anzi spinto a fidarsi degli altri e a non temerli. I genitori dovrebbero cercare di trasmettergli questo messaggio: “noi ti siamo vicini, non per evitarti nuove esperienze ma per aiutarti ad affrontarle: noi ci siamo, tu vai”. La mamma, in particolare, dovrebbe fare da ponte tra il bimbo e il mondo esterno, rassicurandolo anche soltanto con la sua presenza. Può aiutare il piccolo fisicamente e verbalmente, per esempio tenendolo in braccio e spiegandogli che cosa succede e perché non deve avere paura con frasi tipo: “sta arrivando lo zio, che vuole giocare con te e ti vuole tanto bene”.