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Muovere i primi passi, camminare, correre e giocare. Sono le normali tappe della crescita del bambino. Ma perché avvengano correttamente è fondamentale prendersi cura dello sviluppo osteoarticolare sin dalla nascita. La displasia dell’anca è una delle più frequenti deformità congenite dello scheletro. Colpisce 1 neonato su 1.000, più frequentemente nel sesso femminile (rapporto 6 a 1) e nel 45% dei casi coinvolge entrambe le anche. Ecco come curare la displasia nei bambini con i consigli del professor Francesco Falez, chirurgo ortopedico.
Come capire se un bambino ha problemi all’anca?
Il nome displasia dell’anca indica uno sviluppo e una maturazione alterati sia del bacino sia del femore. La patologia, infatti, sorge proprio nel punto di contatto tra il femore e le ossa del bacino. La testa del femore (ossia l’estremità) è posizionata a livello del bacino all’interno di una cavità a forma di coppa, detta “acetabolo”. In presenza di displasia la testa del femore non è coperta e contenuta in maniera sufficiente all’interno dell’acetabolo. In alcuni casi il difetto è passeggero ed è dovuto a un ritardo fisiologico, cioè di maturazione. In altri casi il problema può aggravarsi e, se non viene curato al più presto, può provocare la lussazione della testa del femore, ovvero la fuoriuscita dal suo normale alloggiamento. Questa degenerazione si manifesta con un ritardo nella deambulazione del bambino, che potrebbe presentare una zoppia più o meno evidente, con tendenza al peggioramento. Con l’aumentare dell’età, infine, entrano in gioco altri processi di degenerazione articolare e la comparsa, insieme alla zoppia, del dolore.
Le cause della displasia nei bambini sono sconosciute, nonostante sia stata dimostrata una familiarità; anche la presentazione podalica al parto, però, sembra avere un certo peso nello sviluppo della patologia. Inoltre, sono stati identificati come predisponenti l’oligoidramnios (ossia la presenza di poco liquido amniotico uterino), la primogenitura, l’anomala posizione fetale. Non di rado la displasia dell’anca si associa a sindromi congenite o ad altre deformità, come il piede torto (una malformazione del piede caratterizzata da un atteggiamento che impedisce il normale appoggio a terra) e la scoliosi (che provoca una curvatura anomala della colonna vertebrale).
Quando fare la visita alle anche?
Alla nascita tutti i bambini vengono sottoposti a due esami per verificare la presenza della displasia: le manovre di Ortolani e Barlow che consistono nel sublussare la testa femorale (Barlow) e nel farla ritornare in sede mediante una manovra inversa (Ortolani). Tale procedura – in caso di instabilità articolare – produce un rumore ed una sensazione di scatto (proprio come un “clac”). Altre manifestazioni evidenti alla visita invece sono l’asimmetria tra i due arti, che si evidenzia in particolare dalle pliche cutanee delle cosce e delle natiche, e dalla rotazione dell’arto: questi segni, tuttavia, non sono decisivi perché presenti anche in bimbi sani e non hanno grande utilità nella diagnosi, ma servono comunque a porre un eventuale sospetto clinico.
L’esame diagnostico strumentale più utilizzato è l’ecografia dell’anca secondo la metodica di Graf, che oggi si esegue a tutti i neonati, in quanto esistono situazioni in cui la displasia è presente anche quando i segni di Ortolani e Barlow alla nascita risultano negativi. L’ecografia viene eseguita tra il terzo e il quarto mese di vita (dopo la comparsa del nucleo di ossificazione della testa del femore).
Quanto tempo si tiene il divaricatore?
Se la diagnosi viene fatta precocemente, occorre intervenire con un trattamento che prevede l’utilizzo di un tutore – fisso o mobile – che mantiene le anche flesse (90-100°) e abdotte (ossia “allontanate” di 50-60°), permettendo così di mantenere centrata la testa del femore all’interno dell’acetabolo. Di norma l’uso del tutore riesce a risolvere in pochi mesi la situazione (ossia la displasia acetabolare e l’instabilità articolare): va utilizzato a tempo pieno (giorno e notte) per 4- 8 mesi, monitorando con ecografia e radiografia lo sviluppo delle anche. Trascorso questo periodo occorre eseguire una radiografia: qualora persistesse una instabilità, sarà necessario ricorrere ad altri trattamenti.
Se, invece, la diagnosi di displasia dell’anca è tardiva, la testa del femore perde il diritto di domicilio all’interno dell’acetabolo che non si sviluppa adeguatamente. Pertanto il trattamento diventa più complesso e si basa sulla riduzione incruenta (riposizionamento della testa del femore nella sua sede) da eseguire in anestesia generale o in sedazione e sulla stabilizzazione mediante apparecchio gessato, eventualmente preceduta da un periodo di trazione. Nei casi di insuccesso, è necessario procedere a una riduzione mediante un intervento chirurgico allo scopo di eliminare gli ostacoli alla riduzione della testa del femore. Dopo i 3-5 anni di età il trattamento diventa più complicato sia per le difficoltà alla riduzione sia per le rigidità articolari che si instaurano; in questi casi oltre alla riduzione cruenta possono essere associati interventi di osteotomia del bacino (che consiste nella sezione dell’osso a scopo correttivo. L’intervento prevede una fase successiva, in cui si immobilizza l’osso nella posizione voluta mediante appositi apparecchi).
A cosa porta la displasia?
Se la displasia dell’anca non viene individuata precocemente, potrebbe manifestarsi un ritardo della demabulazione (dovuto a una riduzione dell’effetto muscolare dei glutei a causa della deformità) e una zoppia, più o meno marcata, a seconda del grado della displasia. È anche possibile rilevare un accorciamento dell’arto colpito rispetto all’altro (nei casi monolaterali). Alla visita, il pediatra ortopedico può riscontrare una deformità del profilo dell’anca e una extra-rotazione dell’arto; inoltre, alla palpazione, la testa del femore risulta in sede anomala rispetto al normale.
La complicazione più temibile conseguente al trattamento di questa patologia è rappresentata dalla necrosi ischemica della testa del femore (che si verifica quando l’afflusso di sangue all’osso della testa del femore è compromesso). Questa situazione si manifesta con un’incidenza maggiore nei casi più gravi e può condizionare il risultato finale. Tale complicazione, tra l’altro, può presentarsi indipendentemente dall’esecuzione di un corretto trattamento. La persistenza di una displasia in età adulta determina inesorabilmente una degenerazione artrosica dell’anca che spesso ha necessità di essere sostituta con una protesi.
Fonti / Bibliografia
- Displasia congenita dell'anca | ior
- Piede torto congenito - Ospedale Pediatrico Bambino GesùMalformazione del piede che può essere curata con successo con il metodo Ponseti che permette la progressiva correzione del difetto con manipolazioni e applicazioni di gessi