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Ogni anno circa un milione e mezzo di donne con Hiv aspetta un bambino e si chiede se potrà allattare al seno oppure no. I bambini possono contrarre l’infezione dalla madre sieropositiva durante la gravidanza, al momento del parto e durante l’allattamento. Per questo motivo le donne sieropositive in gravidanza assumono una terapia antiretrovirale, partoriscono tramite parto elettivo cesareo ed evitano l’allattamento al seno a favore di quello artificiale. Ma allattamento e Hiv potrebbero non essere incompatibili. Anzi.
I virus trasmissibili
Viene, inoltre, somministrata la terapia antiretrovirale anche al bambino. In questo modo si riduce, notevolmente, il rischio di contagio. Attraverso il latte materno, possono passare anche virus oncogeni e citomegalovirus, più raramente i virus delle epatiti, il parvovirus, altri herpes virus e la rosolia.
Le nuove Linee guida
Tuttavia, nelle ultime Linee guida, l’Organizzazione mondiale della sanità consiglia l’allattamento e allunga il periodo fino a 24 mesi: se la mamma segue la terapia per Hiv, infatti, gli specialisti assicurano che la possibilità di infettare il neonato è risibile e anzi, attraverso il latte, il microbiota materno si trasferisce nell’intestino del bambino, insieme ai linfociti, che lo proteggono ulteriormente. Perché il latte materno non è soltanto un alimento: apporta cellule immunitarie materne, staminali, immunoglobuline, citochine, fattori di crescita. L’allattamento e la terapia farmacologica costituiscono potenzialmente dunque un significativo miglioramento delle chances di sopravvivenza del neonato. Quindi, allattamento e hiv possono convivere.
Controlli più stringati
È importante però che la donna con un test negativo in gravidanza, esegua un altro test durante l’allattamento al seno se è presente un rischio o un sospetto di nuova infezione, al fine di accertare un’eventuale sieropositività e iniziare il prima possibile la terapia antiretrovirale.
La situazione in Italia
I dati sulla sorveglianza delle nuove diagnosi di infezione da Hiv hanno evidenziato 3.451 segnalazioni, pari a 5.7 nuovi casi per 100.000 residenti. Questa incidenza pone l’Italia al tredicesimo posto tra le nazioni dell’Unione Europea. Negli anni si è inoltre osservato un aumento dell’età mediana dei malati, nonché un cambiamento delle modalità di trasmissione: è diminuita la via iniettiva e sono aumentati i casi attribuibili a trasmissione sessuale. Negli ultimi anni rimane costante il numero delle donne con nuova diagnosi, con un aumento di incidenza nella fascia di età 25-29 anni.