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Dubbi, ansie e preoccupazioni, ma anche un’errata comprensione di cosa voglia dire allattamento a richiesta. Tanto che in Italia, nonostante l’attenzione e le azioni volte a promuoverlo, il numero medio di mesi di allattamento esclusivo al seno è di 4,1.
Come funziona
È quanto emerge da uno studio condotto dai pediatri di famiglia lombardi della Simpef (Sindacato medico pediatri di famiglia). L’American Academy of Pediatrics raccomanda che i bambini siano allattati al seno a richiesta, cioè invita le mamme a nutrire i loro bambini ogni volta che mostrano segnali di fame (maggiore attività, girare la testa, succhiare le manine o altro). Questo metodo, che si basa sulla capacità di autoregolazione del neonato, ha diversi vantaggi, specialmente una maggior produzione di latte, con minor rischio di ingorghi mammari, ma può diventare sfiancante per la mamma. È perciò fondamentale il supporto del pediatra che illustri le modalità di questo metodo.
Il biberon è considerato meno faticoso
Dalla ricerca emerge, infatti, che l’espressione allattamento a richiesta può creare fraintendimenti e indurre le neomamme a considerarlo come un obbligo di disponibilità continua verso il figlio, ogni volta in cui inizia a piangere, mentre le indicazioni sono volte a favorire un percorso di allattamento gradualmente guidato dalla madre, in cui il bambino impara ad autoregolarsi. Il 17% dei pediatri riscontra molto frequentemente che l’avvio dell’allattamento a richiesta è vissuto dalle neomamme come impegnativo e faticoso. Allattare è normale ma non è semplice e, secondo i medici, le mamme che allattano al seno sembrano avere un affaticamento psicofisico maggiore, tanto che quando gli viene proposto il passaggio al latte in polvere si sentono aiutate e sollevate.
svezzamento: meno problemi, ma non per tutte
L’ansia materna durante l’allattamento al seno è un fenomeno ricorrente, mentre durante lo svezzamento le difficoltà e preoccupazioni tendono per lo più a ridursi (64,9%) e a sparire (6,9%). In altri casi si mantengono (21,4%) o persino aumentano (6,1%): ciò significa che c’è un’importante quota di mamme che continua a vivere in modo problematico la relazione alimentare con il figlio.