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Allattare al seno è del tutto naturale. «Sono tantissime, comunque, le ricerche scientifiche che hanno focalizzato l’attenzione sui benefici di questo gesto» commenta Grazia De Fiore, consulente professionale in allattamento IBCLC (International Board Certified Lactation Consultant) dal 2002, autrice del libro “Svezzamento e Allattamento” (Coleman Editore). «Il latte materno ha una composizione tale non solo da soddisfare i bisogni nutrizionali del neonato, ma anche da rafforzarne le difese immunitarie. L’allattamento al seno, quindi, riduce l’incidenza delle gastroenteriti, protegge dalle infezioni respiratorie, minimizza il rischio di sviluppare allergie, supporta lo sviluppo psicomotorio, oltre a consolidare la relazione madre/figlio». Non a caso l’Organizzazione Mondiale della Sanità considera l’allattamento al seno uno degli obiettivi prioritari di salute pubblica dal momento che il latte materno soddisfa i bisogni nutrizionali del piccolo e lo protegge dalle infezioni. L’allattamento rafforza inoltre il legame tra il neonato e la mamma. La buona riuscita dell’allattamento dipende da come si comincia: è importante quindi che appena nato il piccolo si trovi a contatto con la mamma perché possa trovare spontaneamente il seno. Anche se allattare è naturale, occorre comunque che la madre si abitui a questa nuova situazione, verificando innanzitutto che il neonato si attacchi correttamente al seno, in modo che possa succhiare a sufficienza per nutrirsi. L’allattamento a richiesta è la modalità più corretta di procedere: il neonato può succhiare quando lo desidera e per il tempo che desidera. La mamma deve solo trovare la posizione più comoda per allattare che può essere quella seduta, semisdraiata o sdraiata, quest’ultima perfetta di notte e quando si è stanche.
Allattamento al seno, come riuscire
«La composizione del latte materno è tale da venire incontro a tutte le esigenze non solo nutrizionali, ma anche di salute del neonato» precisa l’esperta. «Tutti gli elementi che contiene, dalle proteine alle vitamine, dagli antiossidanti agli oligoelementi e molti altri resi assimilabili per il neonato, fanno sì che l’immunità innata o aspecifica del piccolo (quella presente sin dalla nascita, quando il bambino non si è ancora sviluppato e non è in grado di dare risposte specifiche e selettive agli agenti patogeni) si trasformi in maniera attiva. Questo aiuta a tenere sotto controllo infezioni intestinali e respiratorie, riduce il rischio di sviluppare allergie e supporta attivamente lo sviluppo psicomotorio. L’allattamento rinforza quindi le difese immunitarie del piccolo e, grazie alla presenza nel latte di sostanze antibatteriche e antimicotiche, lo protegge da infezioni di vario genere; ha effetti benefici, inoltre, sul microbiota intestinale del neonato. Da ultimo l’allattamento favorisce la relazione madre-bambino con effetti positivi sia per la donna che per il neonato». L’allattamento al seno soddisfa il bisogno primordiale della conservazione della specie. «E’ per questo che la quasi totalità delle donne può allattare» precisa l’esperta. «E questo vale anche per le mamme che pensano di non avere latte o che vedono il piccolo staccarsi e piangere: si calcola che solo il 3% delle donne al mondo non abbia, per le più svariate ragioni, possibilità di produrre latte» commenta De Fiore. «Va tenuto conto però che la buona riuscita dell’allattamento al seno dipende dalla sua fase iniziale». Sin dai primi momenti dopo la nascita ci sono alcuni elementi che permettono l’allattamento:
- attacco corretto al seno
- posizione corretta della mamma
- efficacia della suzione
- eliminazione degli elementi che potrebbero influire negativamente, come uso del ciuccio, del biberon, aggiunte di latte artificiale
- possibilità per il neonato di attaccarsi al seno quando vuole.
Allattamento a richiesta: come procedere
Attaccare il piccolo al seno quando lo desidera, il cosiddetto allattamento a richiesta, è uno degli elementi chiave per la buona riuscita dell’allattamento. «Lo si dovrebbe mettere in atto fin dalla nascita, senza rispettare la regola delle tre ore di stacco che spesso viene suggerita, ma che in realtà non ha nessuna ragion d’essere» commenta l’esperta. «E’ consigliabile quindi sin dall’inizio allattare quando il piccolo lo desidera, cercando di farlo al primo accenno di risveglio, prima ancora che pianga. Questo significa che il numero di poppate può variare da giornata a giornata proprio come varia il sonno». Ovviamente, perché l’allattamento a richiesta non diventi eccessivamente stressante per la mamma, è importante gestire con attenzione soprattutto le poppate notturne. A questo proposito è consigliabile tenere il piccolo nella stanza con i genitori in un lettino fissato al lettone. Andrebbe sempre evitato invece di mettere il piccolo direttamente nel lettone tra i genitori perché questo aumenta il rischio di SIDS (sindrome della morte in culla).
Attacco corretto: come procedere
«Perché l’allattamento al seno funzioni, occorre prestare grande attenzione alla fase di avviamento» precisa l’esperta. I primi momenti sono determinanti e decidono la durata e l’esclusività dell’allattamento; è proprio per questo che si mette subito il neonato a contatto con la madre, “pelle a pelle”: il piccolo è in grado, infatti, di trovare da solo il seno e di succhiare. E’ importante in ogni caso controllare che il piccolo si attacchi bene al seno, altrimenti potrebbe non riuscire a nutrirsi a sufficienza e la mamma dal canto suo potrebbe avere dolori ai capezzoli. «È proprio l’attacco scorretto, assieme alla scarsa suzione del neonato, a procurare dolore ai capezzoli ed è necessario intervenire su questo problema il prima possibile per risolverlo» commenta l’esperta.
Come procedere quindi?
- Tieni il bambino con il naso o con il labbro superiore proprio di fronte al capezzolo. Attendi che spalanchi la bocca; lo puoi incoraggiare a succhiare sfiorando le labbra con il capezzolo.
- Avvicinalo subito al seno così che il suo labbro inferiore tocchi il seno, il più lontano possibile dalla base del capezzolo. In questo modo il capezzolo punterà verso il palato del bambino che potrà succhiare bene.
- Puoi capire che il piccolo è attaccato bene se la bocca è ben aperta, il mento tocca il seno, il labbro inferiore è rovesciato in fuori e la lingua è appoggiata al capezzolo. L’areola dovrebbe essere visibile più sopra il labbro superiore che sotto quello inferiore. Il piccolo inoltre dovrebbe poppare intervallando suzioni brevi, movimenti più lunghi e profondi e brevi pause.
Posizioni allattamento al seno
Allattare è naturale. Eppure la mamma all’inizio può avere dei dubbi e aver bisogno di essere aiutata, se necessario. «La posizione in cui si allatta è determinante per il buon andamento dell’allattamento oltre che per consentire al piccolo di poppare bene e nutrirsi a sufficienza e alla mamma di non avere dolori ai capezzoli» spiega l’esperta. «La regola base è quella di mettersi il più possibile comode e a proprio agio, magari sperimentando varie posizioni fino a trovare quella che si ritiene sia più congeniale e magari variandola nel corso del tempo o della stessa giornata in base alle esigenze».
- Posizione classica seduta. Chiamata anche “a culla”, è la più tradizionale e adatta in modo particolare quando il piccolo è nato a termine con parto naturale. In caso di cesareo, infatti, questa posizione potrebbe risultare un po’ fastidiosa a livello della cicatrice. La mamma è seduta comoda, preferibilmente su una poltrona o sul letto ben sostenuta dai cuscini. Volendo può tenere un cuscino per allattamento sulle ginocchia per far sì che la posizione risulti ancora più comoda. Il neonato è sul fianco con la testa appoggiata nell’incavo del braccio e il viso, lo stomaco e le ginocchia rivolte verso la mamma.
- Posizione “a rugby”. E’ una classica posizione definita anche “presa sotto il braccio”. La mamma è seduta con la schiena ben sostenuta e i piedi appoggiati, preferibilmente su uno sgabello. Può essere utile anche avere un cuscino per dare supporto alla schiena e alle braccia e per sostenere meglio il piccolo. Il neonato si trova sul fianco della mamma con il viso rivolto verso di lei sostenuto con il braccio corrispondente in modo che la mano aperta sostenga la base del collo e le spalle del neonato e il resto del braccio fino all’incavo dia supporto a schiena e sederino. E’ una posizione che favorisce l’attacco del piccolo ed è utile dopo un cesareo, perché evita che il neonato si appoggi al taglio, o anche quando i capezzoli sono dolenti e in caso di ragadi.
- Posizione incrociata. E’ una variante della posizione precedente. La madre è seduta sulla sedia, comoda e con i piedi appoggiati, e tiene in braccio il piccolo con il braccio opposto al seno con il quale lo allatta: il neonato è sorretto dall’avambraccio, la mano tiene la testa e le spalle del piccolo, pollice e indice solo alla base delle orecchie del bebè. In questa posizione si facilita molto la suzione anche per quei neonati che tendono ad avere difficoltà.
- Posizione sdraiata sul fianco. E’ ideale nei primi giorni dopo il parto, soprattutto se è avvenuto con un taglio cesareo, ma anche quando ci si sente molto stanche. E’ la posizione migliore poi per le poppate notturne. La mamma si sdraia su un fianco, preferibilmente con un cuscino dietro la schiena per sostenerla, e tiene il neonato di fronte a sé, sdraiato su un fianco con il naso all’altezza del capezzolo. Con la mano dietro le spalle del piccolo, la mamma lo avvicina in modo che possa trovare facilmente il capezzolo: quando comincia a succhiare la mamma o il papà possono mettere un piccolo asciugamano morbido arrotolato dietro la schiena del piccolo per sostenerlo meglio.
- Posizione semireclinata. Si definisce “biological nurturing” perché il neonato si dispone prono sul corpo della madre, come succede per molti altri mammiferi. E’ quindi una posizione per così dire fisiologica comoda per la mamma e anche per il piccolo e quindi funzionale all’allattamento. La mamma è semisdraiata sul letto, sul divano o su una poltrona con la schiena supportata da cuscini, in una posizione rilassata che evita tensioni muscolari. Il neonato è disteso a pancia in giù tra l’addome e il torace della madre, che lo sostiene quindi con il proprio corpo: così sistemato può trovare liberamente il capezzolo e cominciare a succhiare.
In ogni caso, qualunque sia la posizione che si decide di adottare, è importante che il piccolo sia ben vicino per poter raggiungere il seno con facilità, senza doversi girare o fare altri movimenti. Attenzione, infine, che è sempre il piccolo che va avvicinato al seno, non la mamma che si avvicina a lui.
E se si hanno due gemelli? «Oltre alle posizioni di allattamento consigliate per allattare un singolo bebè, le mamme dei gemelli possono utilizzare delle posizioni meno comuni per l’allattamento simultaneo» spiega l’esperta. Qualche esempio:
- bambini in parallelo in posizione classica, con la testa supportata dalle mani della madre
- posizione “a rugby” doppia
- posizione a V. La madre è sdraiata sulla schiena, le teste dei bambini formano una V, mentre le loro ginocchia toccano i fianchi della mamma.
Quanto dura una poppata?
«Difficile stabilirlo a priori» commenta l’esperta. «Il piccolo si stacca dal seno quando è soddisfatto e questo può avvenire in un arco di tempo variabile da giornata a giornata. Anche la mamma non deve stressarsi per sapere la quantità precisa di latte che il piccolo ha preso». Importante è prestare attenzione ai segnali che denunciano la sazietà del piccolo:
- lo senti deglutire durante la poppata
- il neonato bagna i pannolini in numero corretto per la sua età (circa sei al giorno dopo la prima settimana)
- il piccolo comincia a prendere peso
Non ha nessun valore quindi la tradizionale indicazione di attaccare il bambino al seno dieci minuti per parte. Come del resto non ha senso tenerlo attaccato al seno quando non succhia più. «Il piccolo va quindi lasciato libero di poppare finché lo desidera, anche perché così riceve la parte più grassa del latte che si concentra proprio a fine poppata» commenta l’esperta. «E non serve offrire solo un seno a poppata, come a volte viene consigliato; al contrario si rischia di compromettere l’allattamento al seno». Attenzione per altro che staccare il piccolo dal seno prima che sia soddisfatto rischia di favorire la formazione di dolorose ragadi. «Il bambino ottiene una buona quantità di latte quando beve con il tipo di suzione “bocca spalancata – pausa – bocca chiusa”» spiega l’esperta. «Quando il bambino non usa la giusta suzione, e quindi non si alimenta, è utile comprimere il seno e aumentare la pressione interna della mammella. E’ sufficiente premere e tenere premuto il seno compresso, ma non così forte da sentire dolore, mantenendo la pressione finché si capisce che il piccolo torna ad assumere correttamente il latte».
Fino a quando si deve allattare al seno?
L’OMS (Organizzazione mondiale della sanità) raccomanda l’allattamento in maniera esclusiva fino al compimento del sesto mese di vita. Segnala inoltre che è importante che il latte materno rimanga la scelta prioritaria anche dopo l’introduzione di alimenti complementari, fino ai due anni di vita ed oltre, e comunque finché mamma e bambino lo desiderino. «Non esiste infatti un momento preciso per terminare di allattare al seno e non c’è una ragione precisa per farlo» precisa l’esperta. «L’allattamento è infatti un gesto che può essere protratto sin quando lo si desidera, anche se il piccolo ha iniziato la fase dello svezzamento» precisa l’esperta. » Ricerche mediche dimostrano che, oltre il 1° anno di vita del bambino, l’allattamento offre ancora un importantissimo contributo nutrizionale. Contrariamente a quanto si pensa, infatti, il latte materno continua nel tempo a essere un alimento di prima qualità, ricco di proteine, grassi, calcio e vitamine. Anche il supporto al sistema immunitario risulta ancora determinante dal momento che con la crescita a poco a poco il latte può diventare minore in quantità, ma più concentrato in anticorpi, pronti a dare sostegno al piccolo». Uno dei maggiori benefici dell’allattamento al seno, infatti, è quello di sapersi adeguare alle necessità del piccolo restando sempre nutriente. «Il colostro viene prodotto dalla nascita fino ai primi 5 giorni di lattazione; il latte di transizione dai 5 giorni alle 2 settimane post parto; la maturazione del latte dura fino a 4-6 settimane dopo il parto; dopo i 6 mesi il latte maturo resta per lo più stabile» commenta De Fiore. Anche da un punto di vista psicologico, i piccoli, sia pur cresciuti, continuano a trarre benefici dall’allattamento al seno. «E non si deve temere che crescano meno autonomi» conclude l’esperta.