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Tra i farmaci per curare il tumore alle ovaie, uno tra i più aggressivi tra le forme tumorali, sembra confermata l’efficacia dei Parp-inibitori, utilizzati oggi da oltre 600 donne italiane affette da un carcinoma ovarico provocato dai geni Brca 1 e 2. In particolare, uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Lancet Oncology ha confermato l’efficacia dell’Olaparib, un nuovo farmaco appartenente alla categoria dei Parp-inibitori. Assunto per due volte al giorno, questo medicinale ha fatto registrare benefici a lungo termine: fino a 19 mesi senza recidive, rispetto ai 5 delle pazienti inserite in un gruppo di controllo.
Come agiscono i Parp-inibitori
Alla luce dei nuovi studi, in futuro i Parp-inibitori potrebbero acquisire la stessa importanza della chemioterapia per combattere il tumore alle ovaie. Questi farmaci agiscono sulle cellule neoplastiche dell’ovaio annullando i meccanismi di riparazione del Dna con la successiva morte delle cellule malate. Come tutti i farmaci, anche i Parp-inibitori hanno degli effetti collaterali, tra cui anemia, dolore addominale, astenia e ostruzione intestinale, che col passare del tempo possono risultare fastidiosi. Gli esperti, però, sostengono che le conseguenze sono più tollerabili rispetto agli effetti dei chemioterapici.
Prospettive per il futuro
Nello studio sono state prese in considerazione soltanto donne affette da cancro ovarico, con una mutazione dei geni Brca, che hanno effettuato un doppio ciclo di chemioterapia. I ricercatori devono ora stabilire se questi farmaci possano essere utilizzati in tutti i casi di tumore alle ovaie. Al riguardo il direttore della struttura complessa di oncologia medica uro-ginecologica dell’Istituto nazionale tumori Pascale di Napoli, Sandro Pignata, ha detto che: “Un passo del genere è utile a capire non soltanto chi potrebbe beneficiare del trattamento con Olaparib, ma anche per studiare le famiglie nelle quali queste mutazioni sono trasmesse ereditariamente. In questo modo è possibile riconoscere precocemente le donne a rischio di sviluppare un carcinoma ovarico e un tumore al seno”.