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Il tumore all’ ovaio ha origine dal tessuto di rivestimento della superficie dell’ovaio o della tuba. Ogni anno colpisce, a livello mondiale, circa 250 mila donne, quasi 5 mila solo in Italia. Viene considerato un killer silenzioso perché i suoi sintomi vengono spesso ignorati e scambiati per disturbi minori, provocando così un ritardo nella diagnosi. Nel mondo provoca più di 140 mila decessi ogni anno e in Italia rientra tra le prime cinque cause di morte oncologica tra le donne. I fattori di rischio più comuni sono l’età (in particolare tra i 50 e i 65 anni), un precedente tumore al seno, casi in famiglia, sovrappeso e fumo.
La mutazione Jolie
Nel 25% dei casi il tumore dell’ovaio origina in presenza di mutazioni nei geni BRCA (Breast Cancer Susceptibility), ormai nota in tutto il mondo come “mutazione Jolie”, perché ha portato la famosa attrice, moglie di Brad Pitt, alla decisione di farsi asportare le ovaie per prevenire l’insorgenza del tumore. Essendo causato in un quarto dei casi da una predisposizione genetica, una possibile forma di prevenzione è la rimozione delle ovaie dopo i 40 anni. La mutazione Brca, secondo studi consolidati, può fare aumentare le probabilità di sviluppare un tumore fino al 46%, rispetto all’1,8% della popolazione generale. Nel restante 75% le cause non sono direttamente riconducibili a delle mutazioni genetiche ereditarie.
Quale prognosi
Quando il tumore viene diagnosticato in uno stadio iniziale ed è confinato alle ovaie, il 90% delle pazienti ha la probabilità di sopravvivere per più di cinque anni. Nel caso la diagnosi arrivi quando il tumore è in stadio avanzato la percentuale di sopravvivenza a cinque anni si riduce drasticamente al di sotto del 30%.
Come intervenire
La strategia principale è rappresentata dalla chirurgia, al fine di rimuovere la maggior parte delle cellule tumorali. In aggiunta, in base alla diffusione della malattia, si associa un trattamento chemioterapico. Accanto a questi due approcci, si è aggiunta la prima terapia biologica, presto disponibile anche in Italia, che agisce su un bersaglio specifico delle cellule tumorali. Con la molecola in questione (olaparib), combinata a chirurgia e chemioterapia, oggi è possibile estendere la sopravvivenza a 5-6 anni dalla diagnosi. Bloccando l’enzima Parp, il nuovo farmaco fa sì che il Dna, danneggiato dalla mutazione Brca, non venga riparato, contribuendo così alla morte della cellulare tumorale e determinando una riduzione della dimensione del tumore o un rallentamento della sua crescita.