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Esiste un tipo di tumore al seno che resiste a ogni tipo di farmaco. Una ricerca tutta italiana dimostra che la causa è in un’alterazione genetica. E sono già allo studio nuove terapie.
L’incubo di ogni malato di tumore
Il tumore al seno ormonoresponsivo, cioè legato agli ormoni, è il più diffuso, con circa 35.000 nuovi casi all’anno solo in Italia. Talvolta, però, per motivi ancora non chiari, le cure tradizionali non hanno effetto. Una delle cause principali del fallimento di un trattamento per il tumore al seno ormonoresponsivo è lo sviluppo di resistenze agli effetti dei farmaci da parte delle cellule. È quanto conferma lo studio pubblicato sulla rivista scientifica Nature genetics, condotto dall’Istituto europeo di oncologia da Saverio Minucci e Giancarlo Pruneri, professori presso l’Università degli Studi di Milano, in collaborazione con i gruppi di studio del dottor Luca Magnani dell’Imperial College di Londra e del professor Antonino Neri, dell’Università degli Studi di Milano. Il progetto è stato finanziato dall’Associazione italiana per la ricerca sul cancro (Airc).
Alla base un’alterazione genetica
Un’alterazione genetica sarebbe la causa della resistenza ai farmaci: favorirebbe il blocco degli inibitori dell’aromatasi, una sostanza presente nelle cellule tumorali. Nei malati con questa alterazione, per cui questi inibitori non funzionano, i farmaci non sortiscono alcun effetto. I ricercatori hanno scoperto, infatti, che il 15% dei tumori al seno sviluppa resistenza alla terapia come conseguenza di questa alterazione genetica. I ricercatori hanno già sperimentato un test su base molecolare che individua l’alterazione nei malati, così da poterli indirizzare verso terapie alternative.
Alla ricerca di una terapia più efficace
“Uno dei problemi più importanti nell’utilizzo dei farmaci anticancro – spiegano gli autori Minucci e Pruneri – è rappresentato dalla comparsa di cellule tumorali resistenti alla cura, che possono portare alle metastasi. L’individuazione dei meccanismi di resistenza del tumore rappresenta un traguardo fondamentale per vincerla, utilizzando nuovi farmaci diretti contro la resistenza, oppure identificando modalità di utilizzo dei farmaci esistenti che possano superarla. Questo studio – concludono gli autori – costituisce un’ulteriore conferma di quanto un approccio integrato tra ricerca clinica e di base possa consentire un rapido trasferimento dei risultati scientifici nella vita quotidiana dei pazienti”.