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Utilizzare gli spermatozoi per misurare l’impatto dello smog sulla salute: sarebbe una chiave di lettura più precoce, predittiva e accurata rispetto all’analisi del sangue. I dati riportati da uno studio italiano al congresso Eshre (la Società europea di riproduzione umana ed embriologia) sono allarmanti: tra gli spermatozoi di chi vive in luoghi ad alto tasso d’inquinamento e quelli di chi abita in zone non inquinate c’è un abisso.
Un termometro molto sensibile
Nel lavoro sono stati confrontati 222 maschi provenienti da due zone della Campania: la terra dei fuochi, ad alto impatto ambientale, e la zona del Sele, nel Salernitano, poco inquinata. Sono stati riscontrati nel seme, e non nel sangue, differenze significative in termini di accumulo di metalli pesanti, in particolare cromo, danni per lo stress ossidativo, riduzione degli enzimi antiossidanti, allungamento dei telomeri spermatici e danni al Dna degli spermatozoi. Questi dati, con altri in via di pubblicazione, indicano che nel seme, prima che nel sangue, si può avere una misura di quanto pesi lo smog sulla salute umana. Lo studio del seme, ipotizzano i ricercatori, si può dunque sfruttare come biomarcatore per il monitoraggio ambientale di chi vive in zone ad alto impatto ambientale.
L’impatto sulla salute presente e futura
Il progetto mira a studiare gli spermatozoi di chi vive in altre aree inquinate del Paese come Gela, Piombino, Taranto, usando sempre il seme maschile come indicatore precoce dello stato di salute dell’ambiente e della popolazione, anche di quella futura, visto che il danneggiamento degli spermatozoi potrebbe rendere più vulnerabili i nuovi nati. Dopo aver individuato le zone ad alto rischio ambientale e soprattutto quanto lo smog impatti sulla salute di chi vi abita, anche su quella riproduttiva, il passaggio successivo sarà la bonifica dei territori.