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Vivere sempre più a lungo potrebbe dipendere dalla cosiddetta proteina della longevità, chiamata anche proteina Klotho dal nome dalla più giovane delle Parche, figura mitologica impegnata a tessere il filo della vita. Si tratta di una particolare proteina che – secondo un recente studio condotto dall’Università a Yale – avrebbe un ruolo importante nella regolazione della longevità.
Analizzato il funzionamento
I ricercatori hanno fotografato in 3D la struttura della proteina della longevità, riuscendo a far luce sul suo meccanismo di azione e sul suo potenziale terapeutico. Un risultato che secondo gli autori dello studio potrebbe avere in futuro preziose implicazioni per le ricerche riguardanti le terapie atte a combattere diverse malattie: dal diabete all’obesità fino ad alcuni tipi di tumori. Per capire come funziona la proteina della longevità il team di Yale ha utilizzato la cristallografia a raggi X, una sofisticata tecnica che fornisce visualizzazioni tridimensionali ad alta risoluzione: i ricercatori hanno potuto così verificare che questo tipo di proteine, che si trovano sulla superficie delle cellule di specifici tessuti, si legano a una famiglia di ormoni, gli Fgf endocrini, che a loro volta regolano processi metabolici critici in fegato, reni e cervello.
Un ruolo terapeutico
L’analisi dei ricercatori ha potuto così far luce su diversi meccanismi importanti per la vita. Hanno verificato, infatti, che la beta-Klotho è il recettore primario che si lega a Fgf21, un ormone chiave prodotto in seguito alla fame. Quando si lega a beta-Klotho, l’ormone stimola la sensibilità all’insulina e il metabolismo del glucosio causando la perdita di peso. Questa scoperta potrebbe portare in futuro allo sviluppo di terapie preziose per curare patologie come il diabete di tipo 2 in pazienti obesi. Gli studi hanno permesso infatti di capire che sviluppando farmaci mirati a sbloccare la proteina della longevità sarà possibile prendere di mira diabete e obesità, mentre usando agenti che bloccano il percorso di beta-Klotho, gli scienziati sperano di arrivare a terapie per malattie come il cancro del fegato e le patologie ossee. Il passo successivo potrebbe poi essere quello di produrre ormoni migliori e di creare nuovi potenti bloccanti proprio partendo dalle scoperte fatte sulle proteine della longevità.