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Un sorriso accompagnato dalle rughe d’espressione potrebbe essere percepito come più sincero dal cervello dell’interlocutore. L’encefalo umano sarebbe, infatti, più incline a considerare le emozioni dipinte sul viso altrui come più intense e genuine se quando si sorride si formano le rughe intorno agli occhi e alla bocca oppure se si aggrottano le sopracciglia quando si è contrariati. Perlomeno questo è quanto sostiene uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Emotion dai ricercatori della University of Western Ontario di London in Canada e dell’Università di Miami negli Usa, secondo cui la scoperta potrebbe aiutare a comprendere meglio il ruolo delle espressioni facciali e il modo in cui il cervello percepisce le emozioni altrui. Inoltre potrebbe migliorare la conoscenza dei disturbi dello spettro autistico.
La rivalità visiva
Nel corso dell’indagine gli autori hanno utilizzato un metodo chiamato Visual rivalry (rivalità visiva) per rilevare il fenomeno della rivalità binoculare: in base a questo meccanismo, quando le informazioni che arrivano dai due occhi sono troppo differenti per poter essere fuse insieme, il cervello sceglie l’immagine proveniente da un solo occhio, quella che viene percepita come più rilevante, sopprimendo l’altra. Nello specifico, gli scienziati hanno mostrato a un gruppo di volontari due immagini contemporaneamente per comprendere quali espressioni l’encefalo percepisse come più importanti. I partecipanti hanno visionato diverse coppie di immagini che ritraevano volti in cui era presente o assente il cosiddetto marcatore di Duchenne, un indicatore, che deve il nome allo studioso che lo ha descritto per la prima volta, che definisce le caratteristiche del sorriso sincero: dev’essere caratterizzato dall’arricciamento degli angoli della bocca e dalla formazione intorno agli occhi delle cosiddette zampe di gallina.
Una finestra sull’inconscio
Il dottor Julio Martinez-Trujillo, che ha coordinato la sperimentazione, sostiene che la rivalità visiva è come una sorta di finestra sull’inconscio che mostra ciò che il cervello considera involontariamente più rilevante o importante. Le espressioni che coinvolgono il marcatore di Duchenne sono sempre risultate dominanti, secondo l’esperto: così se l’emozione è più intensa il cervello sceglie di mantenerla per un tempo più lungo nell’ambito della consapevolezza percettiva. Gli scienziati hanno poi chiesto ai volontari di valutare il grado d’intensità e di sincerità delle espressioni dei volti presenti nelle foto. Hanno così scoperto che le persone tendevano sistematicamente a ritenere i sorrisi e le espressioni tristi nei visi con il marcatore di Duchenne come più sinceri e intensi di quelli in cui l’indicatore non era presente. Questi risultati forniscono la prova dell’esistenza di un potenziale linguaggio universale per la percezione delle emozioni: una determinata azione eseguita dal viso potrebbe svolgere un ruolo singolo attraverso più espressioni facciali, specialmente se quell’azione modella le interazioni sociali.