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Il multitasking fa crollare l’efficienza, è stato provato scientificamente. C’è un motivo se la distrazione è meno faticosa dello stare concentrati. Quando i neuroni, le cellule cerebrali responsabili dell’attività di pensiero, lasciano vagare la mente o seguono gli stimoli occasionali che man mano si presentano alla sua attenzione, consumano meno energia di quando sono costretti a svolgere un preciso compito. Ogni volta che si cede alla distrazione o al multitasking, le prestazioni mentali crollano.
Perché l’efficienza cala vistosamente
Il professor Paul Mohapel, della Royal Roads University in Canada, autore di un articolo sulla neurobiologia della distrazione pubblicato su Healthcare Management Forum, afferma che: «Uno dei miti più difficili da abbandonare è che il multitasking aumenti la propria efficienza». Prosegue Mohapel: «Ogni volta che abbandoni un compito mentale per seguire un’interruzione, il tuo coinvolgimento emotivo e cognitivo con il compito che stai svolgendo inizia subito a deteriorarsi». Infatti, passano più di 20 minuti per tornare allo stesso livello di concentrazione precedente all’interruzione. La distrazione si paga anche in termini di occupazione della memoria di lavoro, quella che ci consente di trattenere per un po’ le informazioni che servono per svolgere il compito che stiamo facendo. Quando questa memoria è occupata da stimoli estranei al compito, sottrae attenzione e spazio che servirebbero per continuare a lavorare in modo efficiente. In studi di laboratorio è stato osservato che è deleterio saltare mentalmente fra due compiti diversi contemporaneamente, perché il multitasking fa crollare l’efficienza del processamento cognitivo fino al 50% rispetto alla realizzazione degli stessi compiti in maniera sequenziale e senza interruzioni.
Come funziona il cervello
Negli ultimi anni è stato coniato il termine “attenzione parziale permanente” per descrivere la condizione mentale dell’uomo contemporaneo stressato e sempre sotto l’influsso delle molteplici distrazioni dei nostri giorni. È provato che è sempre più difficile stare concentrati. Studi realizzati con la risonanza magnetica cerebrale hanno evidenziato come il multitasking (e il lavoro in generale), sottoponga a uno sforzo importante la corteccia prefrontale (cioè l’area cerebrale attiva quando si sta svolgendo un compito che richiede attenzione), insieme alla orbitale e alla cingolata anteriore. Questo primo circuito neuronale è affiancato da un secondo circuito ben distinto, che coinvolge la corteccia cingolata posteriore e la corteccia prefrontale mediale, aree che fanno parte del cosiddetto Default mode network, attivo quando la mente non sta svolgendo nessun compito particolare o si lascia distrarre. “C’è anche una specie di interruttore dell’attenzione, che consente di passare da una modalità di funzionamento all’altra e che è controllato da una struttura chiamata insula», spiega Mohapel. La funzionalità di questo interruttore varia molto da individuo a individuo, un elemento che probabilmente gioca un ruolo importante nel definire il livello di “distraibilità” di ogni persona.
Quando una pausa fa bene
È bene ricordare che la distrazione non deve essere sempre considerata un momento di disturbo. Se il multitasking fa crollare l’efficienza, una breve pausa da un lavoro impegnativo, che ci ha provato, durante la quale la mente è lasciata libera di vagare e distrarsi, può invece portare a un rinvigorimento e a soluzioni creative non trovate quando si era perfettamente concentrati (e magari anche stanchi). Questo perché sembra che esistano diversi modi di vagare con la mente, come indica una ricerca realizzata dallo psicologo Hao-Ting Wang, dell’Università di York (Gran Bretagna) e dai suoi collaboratori, pubblicata sulla rivista Psychological Science. Durante uno studio, utilizzando la risonanza magnetica funzionale su 160 volontari, Wang ha osservato che quando lasciamo la mente libera, facciamo esperienze interiori di varia natura e di diverso impatto emotivo. Questa ricerca contribuisce a chiarire come mai il vagare con la mente (spesso associato a momenti di ansia e tristezza), talvolta sia stato invece associato a stati di serenità interiore.