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Contrariamente alle abitudini di qualche tempo fa, quando il neonato veniva lasciato a digiuno per diverse ore, oggi l’attaccamento al seno è consigliato sin dai primi momenti di vita: per questo, subito dopo il parto il piccolo è appoggiato sul seno della mamma per un primo contatto pelle a pelle. È importante non solo per favorire un precoce attaccamento al seno, ma anche per incoraggiare l’allattamento nei giorni successivi, in quanto è la suzione del capezzolo il principale fattore che stimola e mantiene la produzione di latte materno. In pratica, più il bambino succhia, più latte si produce. È bene, quindi, che la neomamma riceva rassicurazione sul fatto che la probabilità di una buona riuscita dell’allattamento naturale è alta e dipende in buona parte dalla sua costanza e dall’aiuto che riceve in questo senso dal personale sanitario.
Prima del latte, il colostro
In questa fase, prima dell’avvio della produzione di latte (che arriva in genere tra il terzo e il quarto giorno, con la montata lattea), il piccolo non succhia latte dal seno materno, ma un suo “precursore”, cioè il colostro. Si tratta dello stesso liquido cremoso e giallastro che talvolta si può vedere uscire dai capezzoli negli ultimi mesi di gravidanza. È un alimento ricco di elementi nutrienti e di anticorpi (sostanze di difesa), in grado di soddisfare i bisogni nutrizionali del bimbo nei primi giorni di vita, in attesa della produzione di latte maturo. Il ricorso all’allattamento artificiale sarà necessario solo nei casi in cui dovessero insorgere particolari problemi della mamma (come la mastite, un’infezione alle mammelle che richiede una cura con antibiotici) o in presenza di malattie, come l’epatite C in fase acuta, che richiedono cure farmacologiche non compatibili con l’allattamento al seno.
Iniziano le perdite di sangue
Dopo la nascita del bebè, è normale che la neomamma abbia perdite di sangue, dette lochiazioni o lochi, che servono a eliminare dal-l’utero i “residui” della gravidanza (oltre a sangue, anche muco vaginale e i residui del sacco amniotico che conteneva il feto). Queste perdite possono durare da tre a sei settimane e il loro aspetto cambia con il passare del tempo. Nei primi 3-4 giorni le lochiazioni sono abbondanti, di colore rosso vivo, miste a coaguli di sangue. In questa fase, l’igiene intima assume un ruolo centrale, per prevenire la comparsa di infezioni e irritazioni alla zona genitale.
Se la mamma è Rh negativo
Tra gli esami del sangue prescritti in gravidanza c’è il controllo del gruppo sanguigno e del fattore Rh, per accertare che il sangue della futura mamma sia compatibile con quello del feto. Se la mamma è Rh negativo e il padre Rh positivo, il bimbo potrebbe ereditare dal papà questa caratteristica e avere un sangue incompatibile con la mamma. Alla prima gravidanza, di norma, non si verificano problemi, perché grazie alla placenta (l’organo che nutre e ossigena il feto) il sangue della mamma e del bimbo non si incontrano mai prima del parto. Dalla seconda gravidanza possono nascere problemi perché l’organismo materno, dopo la commistione di sangue del primo parto, produce gli anticorpi (sostanze di difesa) che attaccano il fattore Rh positivo presente nel feto, distruggendo i globuli rossi del nascituro. Per questo, a scopo preventivo, se una mamma Rh negativo ha partorito un bimbo Rh positivo, le viene praticata, dopo la nascita, una cura specifica che serve a eliminare ogni possibile incompatibilità di sangue tra mamma e feto in una gravidanza successiva. Entro 72 ore dal parto, alla mamma viene praticata un’iniezione di 350-400 mg di gammaglobuline anti-D per eliminare i restanti globuli rossi con fattore Rh positivo entrati nel sangue della donna Rh negativo durante il parto ed evitare il rischio che l’organismo materno sviluppi anticorpi specifici contro il fattore Rh positivo.