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Anche se il pane integrale è più ricco di fibre rispetto a quello bianco, che ha subito un maggior processo di raffinazione, non sarebbe (sempre) il migliore, come spesso si crede. È quanto emerso da uno studio del Weizmann Institute of Science di Israele, pubblicato sull’autorevole rivista scientifica Cell Metabolism.
Dieta forzata per i volontari
Nel corso dell’esperimento un gruppo ristretto di volontari è stato sottoposto a una dieta forzata: per una settimana metà campione ha consumato un’alta percentuale di pane integrale e l’altra metà pane bianco. Dopo due settimane, i volontari hanno ripetuto l’esperimento, scambiandosi il tipo di pane. Nel corso dello studio sono stati controllati alcuni parametri come glicemia, calcio, magnesio, livelli di colesterolo e il microbiota intestinale, ossia la flora batterica.
Non sono emerse differenze cliniche
A sorpresa, dalla valutazione dei dati raccolti, non sono emerse sostanziali differenze cliniche a favore dell’uno o dell’altro dei tipi di pane consumati. Nemmeno per quanto riguarda la glicemia. Questo sta a significare che per alcune persone è più salutare il pane integrale e per altre quello bianco. A fare la differenza, invece, sarebbe il microbiota intestinale. I ricercatori, infatti, hanno elaborato un algoritmo che, basandosi sulla composizione del microbiota di ognuno, è in grado di predire correttamente la risposta glicemica di ciascuno a uno specifico tipo di pane.
Il parere dell’esperto
Conferma la professoressa Patrizia Burra, specialista in gastroenterologia, docente dell’Università degli Studi di Padova e vice presidente della Società italiana di gastroenterologia ed endoscopia digestiva: “molte altre evidenze scientifiche dimostrano il ruolo chiave del microbiota intestinale nella regolazione dell’omeostasi (equilibrio) dell’organismo e nel rapporto con gli alimenti”.
Necessari altri studi
Per definire il ruolo del microbiota intestinale nel rendere un alimento “buono” o “cattivo” dovranno, però, essere condotti altri studi in quanto lo studio israeliano presenta due grosse lacune:
- il numero limitato del campione (solo 20 individui);
- la mancata considerazione degli altri alimenti che i volontari hanno consumato, oltre il pane. Questo, secondo Megan Ross, ricercatrice per la salute gastrointestinale del Kings’ College di Londra, limiterebbe la possibilità di interpretare correttamente il risultato ottenuto dagli scienziati israeliani.