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Un numero significativo di donne, per necessità mediche o volontà personale, si sottopone a un intervento di impianto di protesi mammarie. Si tratta ormai di un’operazione ritenuta sicura: negli ultimi decenni, infatti, tecniche e materiali sono migliorati molto ed è stata acquisita grande esperienza nel settore. Tuttavia, in alcuni rari casi, questa procedura potrebbe nascondere qualche pericolo.
Aumenta il rischio di alterazioni dei linfociti T
Innanzitutto, secondo alcuni studi la mastoplastica per fini ricostruttivi o estetici potrebbe associarsi a un lievissimo aumento del rischio di sviluppare un linfoma anaplastico a grandi cellule ALCL, una rara forma di linfoma non-hodgkin (NHL) che riguarda i linfociti T, cellule del sistema immunitario. Questa malattia può svilupparsi in qualunque parte del corpo, ma nelle donne operate al seno può svilupparsi proprio in corrispondenza del tessuto mammario periprotesico. Secondo la Scientific Committee on Emerging and Newly Identifiend Health Risks (S.C.E.N.I.H.R.), nel 2013 si sono verificati 130 casi di ALCL associata a impianto di protesi (BIA-ALCL): numero che nel 2017 sembra salito a più di 359 casi. Al momento, comunque, su oltre 10 milioni di protesi mammarie impiantate, il numero di casi di BIA-ALCL è estremamente basso.
In Italia i casi sono molto rari
Secondo uno studio retrospettivo, nel 2015 in Italia l’incidenza del BIA-ALCL era di 2.8 casi su 100.000 pazienti a rischio. La comparsa dei sintomi avviene in un arco di tempo molto variabile: da 1 a 22 anni dalla data dell’impianto, con un tempo medio di 6,8 anni. La diagnosi avviene mediamente dopo 7,8 anni dalla comparsa dei primi sintomi. Il ministero della Salute ha deciso di monitorare i casi clinici italiani, chiedendo la collaborazione di medici e operatori. Non solo, dal 25 marzo scorso ha creato il registro nazionale delle protesi mammarie e ha anche deciso di promuovere la ricerca scientifica sulle donne affette da questa patologia. Lo scopo è individuare i fattori genetici predisponenti che potrebbero aiutare a comprendere meglio perché una persona sviluppa l’ALCL e un’altra no, pur utilizzando tipologia di impianto.
Il ruolo del vissuto psicologico
L’ALCL, comunque, non è l’unico rischio dell’impianto di protesi. Sembra che alcune donne, in seguito all’operazione, lamentino alcuni disturbi, come fatica cronica, perdita di memoria o disturbi della concentrazione, perdita di capelli, mal di testa, infezioni ricorrenti, gastrite, dolore alle mammelle, insonnia, calo del tono dell’umore. Le ragioni e le correlazioni non sono ancora certe, anche se è probabile che abbiano un ruolo importante anche i vissuti psicologici della donna.
Fonti / Bibliografia
- Scientific Committees - European CommissionScientific Committees