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Salvaguardare il cibo è sempre stata una necessità, fin dai tempi del paleolitico. Ma se allora si usavano le anfore di terracotta per conservare gli alimenti, senza alcun sicurezza sulla loro affidabilità. Oggi sono diversi i materiali messi a contatto con le pietanze per proteggerli e ritardare i processi di deterioramento.
Come devono essere i packaging
Per la sicurezza dell’alimentazione, devono essere in grado di contenere gli alimenti a seconda del loro stato, ossia solidi e liquidi. Inoltre, devono proteggerli dalla luce così come dall’aria, dal calore e dalle polveri, dalle contaminazioni biologiche (virus, parassiti, batteri) e dall’umidità. Devono anche garantire un elevato grado di conservabilità, senza intaccarne la qualità. Per fare ciò è necessario che i materiali posti a contatto con gli alimenti siano innanzitutto sicuri: non rappresentano un rischio per la salute pubblica quando non danno luogo a trasferimenti di materia verso l’alimento (e viceversa) e non modificano le caratteristiche organolettiche dell’alimento.
Che cosa dice la legge italiana
Molto severa in fatto di alimentazione, l’Italia è stata la prima nazione a regolamentare la materia nel 1973. Poi è arrivato il regolamento 1935 del 2004 per uniformare la legislazione in Europa. A seguire: il numero 2023 nel 2006 (che introduce il concetto delle buone pratiche di fabbricazione) e il numero 10 del 2011 (che regolamenta l’utilizzo delle plastiche a contatto con gli alimenti). Eppure, nonostante tutte queste cautele, la materia continua a essere complessa. La diversa sensibilità tra gli Stati, relativamente alla tutela del consumatore, ha fatto sì che nel tempo venissero adottate restrizioni particolari.
I casi del bisfenolo A e della melammina
Il bisfenolo A è un componente della plastica che in tutta Europa non si utilizza più per la preparazione degli utensili destinati ai bambini, mentre Canada, Stati Uniti, Norvegia e Svezia lo hanno eliminato anche dall’elenco delle sostanze consentite per la fabbricazione di materiali e oggetti destinati a venire a contatto con gli alimenti. La melammina, invece, è contenuta in alcuni utensili per la cucina e contenitori, ma è soprattutto utilizzata come adulterante in alcuni alimenti proteici. Famoso il caso della truffa sul latte cinese: contando sull’apporto di azoto della melammina, i produttori l’avevano utilizzata per “allungare” la bevanda e far emergere un maggiore contenuto proteico, in realtà dovuto soltanto all’aggiunta di azoto.
Rischi o benefici per la salute?
In uno scenario così ancora poco bene definito, molti studi analizzano i possibili effetti di alcune sostanze utilizzate nei materiali da contatto con gli alimenti. L’ultimo è quello di un gruppo di ricercatori, pubblicato sul Journal of Epidemiology & Community Health, che pur non avendo trovato correlazioni tra questi inquinanti chimici e malattie croniche come diabete, obesità, cancro e disordini neurologici e infiammatori, ha riaffermato che la ricerca deve guardare sempre con maggior attenzione a questo settore, considerando che le esposizioni sono sempre più frequenti e il numero dei materiali a contatto con gli alimenti cresce in maniera costante.