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Arriva da uno studio scozzese pubblicato sulla rivista British Medical Journal al termine di un’analisi su quasi 140.000 ragazze, la conferma della capacità del vaccino contro l’Hpv di prevenire uno dei tumori più diffusi nelle donne: quello al collo dell’utero.
Lo studio scozzese
Il programma di vaccinazione contro l’Hpv (il papilloma virus) per le ragazze tra 12 e 13 anni è stato introdotto in Scozia nel 2008. Per verificare la risposta alla profilassi, la ricerca condotta presso l’Università di Edimburgo ha analizzato i suoi effetti sullo sviluppo delle neoplasie intraepiteliali cervicali (Cin), ovvero lesioni precancerose che precedono il tumore alla cervice e che possono essere di pericolosità lieve, moderata o grave. Per farlo hanno comparato i dati sulla vaccinazione e i risultati degli screening ginecologici di 138.692 giovani donne nate tra il 1988 e il 1996: tra loro vi erano donne non vaccinate (nate tra il 1988 e 1990), donne che avevano avuto la possibilità di recuperare la vaccinazione tra i 14 e i 17 anni (nate tra il 1991 e 1994) e ragazze sottoposte al vaccino contro l’Hpv a 12-13 anni (nate tra 1995 e 1996). È risultata in questo ultimo gruppo una riduzione del 79% di lesioni precancerose di lieve pericolosità, dell’88% di quelle moderate e dell’86% delle lesioni più gravi.
Importante vaccinarsi il prima possibile
Il controllo è stato fatto all’età di vent’anni, soglia fissata dalla Scozia fino al 2016 e poi spostata a 25 anni (come in Italia). La capacità di prevenzione del vaccino contro l’Hpv diminuisce, invece, in chi si vaccina tardivamente: per chi lo aveva fatto a 17 anni la riduzione delle lesioni gravi scendeva dall’86% al 51%. La vaccinazione è risultata quindi tanto più efficace quanto effettuata più precocemente (comunque non prima degli 11 anni). Occorre anche precisare che tutte le ragazze coinvolte nello studio sono state immunizzate con il vaccino bivalente (che ha come bersaglio i sierotipi 16 e 18 dell’Hpv ed è considerato ancora valido per la prevenzione dei tumori correlati all’infezione), mentre ormai oggi quasi in tutta Europa si utilizza il nonavalente (che protegge da un maggior numero di virus in grado di deviare la replicazione cellulare in chiave tumorale).