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È un virus che continua a fare paura. Dopo l’epidemia scoppiata a fine 2015, infatti, il virus Zika non è scomparso, anzi: in America Latina i casi di contagio sono sempre numerosi, tanto che l’Organizzazione mondiale dalla sanità ha invitato a mantenere un’attenzione elevata nei confronti di questo microrganismo. Fortunatamente non mancano nemmeno notizie positive. L’ultima arriva dal nostro Paese, più precisamente da uno studio condotto da un team di ricercatori dell’IRCCS Ospedale San Raffaele, pubblicato sulla rivista Scientific Reports, che potrebbe aiutare a far luce sulle modalità di trasmissione dell’infezione al feto.
Zanzare infette
Zika è un virus che viene trasmesso all’uomo dalle punture di zanzare infette del genere Aedes, lo stesso genere a cui appartengono le zanzare portatrici della febbre gialla e della dengue. L’ospite serbatoio non è noto, anche se sembra che si tratti di una scimmia. La persona infetta può trasmettere poi la malattia ad altri soggetti tramite i liquidi biologici, come sangue, liquido amniotico, saliva e sperma.
A rischio le donne incinte
L’infezione da virus Zika normalmente non è pericolosa. Basti pensare che nell’80% dei casi è asintomatica o al più si manifesta con rash cutaneo, mal di testa, dolori articolari, mialgia, congiuntivite. Il problema è che la malattia può colpire anche le donne incinte. In questi casi, è molto pericolosa perché può trasmettersi al feto e causare una patologia molto seria: la microcefalia, una condizione in cui la testa del neonato è più piccola rispetto alla media. I bambini nati con microcefalia spesso presentano disturbi dello sviluppo durante la crescita. Oltre alla microcefalia, i bimbi esposti al virus durante la vita intrauterina possono andare incontro ad altri disturbi, come contratture degli arti, anomalie dell’udito e della vista, malformazioni della testa, movimenti involontari, convulsioni, irritabilità, disfunzioni del tronco cefalico quali problemi alla deglutizione, anomalie cerebrali.
La nuova scoperta
A oggi si sa che il virus Zika, una volta penetrato nell’organismo della mamma, può raggiungere i tessuti del suo apparato genitale e, quindi, il feto. In che modo? I ricercatori del San Raffaele hanno scoperto che le cellule dello stroma endometriale, il rivestimento interno dell’utero, sono particolarmente suscettibili all’infezione. Probabilmente una delle cause è rappresentata dall’aumento dei livelli di progesterone, un ormone che svolge un ruolo molto importante durante la gravidanza e nella seconda fase del ciclo mestruale. In pratica, il virus Zika, una volta giunto nell’utero, riuscirebbe facilmente a penetrare tramite lo strato endometriale e a contagiare così il feto. “In sostanza, questo studio sottolinea una particolare vulnerabilità del tratto genitale femminile all’infezione da virus Zika e apre la strada a ricerche future sul potenziale ruolo degli ormoni femminili nel favorire l’infezione” hanno spiegato gli autori.