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I test sulle anomalie cromosomiche sono numerosi ed è importante capire le differenze per scegliere al meglio. Le future mamme possono sottoporsi al Tranquility Test, un test prenatale non invasivo (Nipt) che, mediante un semplice prelievo di sangue materno e senza comportare rischi né per il feto né per la gestante, consente ai futuri genitori di sapere se il feto è affetto da anomalie cromosomiche, quali la trisomia 21, dovuta alla presenza di tre copie del cromosoma 21 anziché due, meglio conosciuta come sindrome di Down, la trisomia 13 (Sindrome di Patau) e la trisomia 18 (Sindrome di Edwards), alcune malattie legate alla variazione nel numero dei cromosomi sessuali e alcune microdelezioni, ovvero la perdita di un tratto cromosomico di piccole dimensioni. Il test, inoltre, permette di conoscere il sesso del bambino. Il test è disponibile presso il Centro Diagnostico Italiano.
Un alto tasso di precisione
Il Tranquility test può essere eseguito a partire dalla 10a settimana in caso di gravidanza singola e dalla 12a in caso di gravidanza gemellare, previo controllo ecografico, ed è in grado di fornire risultati estremamente precisi. Il referto viene rilasciato entro 7-10 giorni. Si tratta di un test di screening e non dà risultati diagnostici certi.
Pochi falsi negativi
Il Tranquility test offre un alto tasso di individuazione delle patologie cromosomiche ricercate e un basso numero di falsi negativi, cioè quei casi in cui il problema, pur presente, non viene rilevato dall’esame. La possibilità di avere risultati falsi positivi o falsi negativi è estremamente bassa poiché il test ha una sensibilità (capacità di evitare i risultati falsi negativi) maggiore del 99,9% e una specificità (capacità di evitare risultati falsi positivi) maggiore del 99,9%.
Meno esami invasivi
Per quanto riguarda la sindrome di Down, dal momento che il Tranquility test è più affidabile di altri esami di screening a disposizione, come la translucenza nucale, un suo risultato negativo può evitare il ricorso a villocentesi e amniocentesi, che comportano un rischio di aborto intorno all’1%.