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Il rooming in comporta una serie di vantaggi. Favorisce l’allattamento al seno, la conoscenza e l’attaccamento tra madre e figlio. Ma non sempre è la scelta migliore. A volte, infatti, è sconsigliato.
In stanza con la mamma
Tradotto letteralmente, il termine inglese rooming in significa “dentro la stanza”: entrato nel linguaggio comune, identifica la pratica ospedaliera di lasciare il piccolo accanto alla neomamma, in stanza con lei, durante tutta la degenza. Rappresenta un’evoluzione del cosiddetto “nido aperto”, cioè la nursery del reparto di ostetricia che consente alla puerpera di avere un rapporto costante con il neonato.
Ogni caso è a sé
Un passaggio naturale, quasi fisiologico, quello di trascorrere tutto il tempo possibile con il proprio piccolo appena nato. Ma non per tutte le mamme. In alcuni casi, infatti, il rooming in rischia di affaticare troppo la neomamma. Come per la maggior parte degli aspetti che riguardano la gravidanza e il rapporto madre e figlio, benefici e controindicazioni sono, quindi, da valutare caso per caso.
Quando è meglio di no
Lasciare il neonato con la mamma tutto il tempo non è la scelta migliore se il travaglio e il parto sono stati lunghi e complicati. Meglio rinunciare al rooming in anche se la puerpera si sente particolarmente debilitata e stanca o se ha affrontato un intervento chirurgico, cioè il parto cesareo.
La struttura deve essere adeguata
Non tutte le strutture ospedaliere, peraltro, sono in grado di offrire alla mamma la possibilità di tenere il piccolo con sé. Infatti, è necessario che le stanze per la degenza siano singole o al massimo doppie. In questo modo, si evita che il numero eccessivo di persone, il via vai di parenti e amici rendano la prima esperienza “a due” per madre e figlio un po’ troppo affollata e carica di stress.