Verso la 32a settimana di gravidanza il feto dovrebbe girarsi spontaneamente a testa in giù, mettendosi così nella posizione migliore per venire al mondo per via naturale. Capita però che nel 4% delle gravidanze la capriola non avvenga per diversi motivi: dalla conformazione fisica della mamma con bacino stretto alla quantità di liquido amniotico, dalla gravidanza gemellare alla placenta previa o al cordone ombelicale corto oppure perché – molto semplicemente – il piccolo sta comodo così. Va precisato che anche il parto prematuro può presentarsi podalico, ma in questo caso, le motivazioni sono da imputarsi alla mancanza di tempo per girarsi a testa in giù. Ecco cosa fare in vista del parto se il bebè non si gira.
Per posizione podalica si intende la posizione del feto con il podice (sederino) in basso e la testa in alto sotto le costole della mamma in situazione longitudinale. Le gambe possono essere flesse, con i piedi sotto il sederino, o estese a compasso, con i piedini vicini al capo. Se si affronta il parto vaginale con il bambino in questa posizione, si può andare incontro a problemi, considerando che la testa del feto è la parte più voluminosa e quindi la più difficile da espellere. Si può, però, ancora evitare il cesareo.
Del resto, se a 32 settimane (per una primipara) o a 35 settimane (per un donna che ha già partorito) il bambino non si è girato da solo, è molto difficile che lo faccia più avanti spontaneamente. Allora, l’unica soluzione è programmare il parto cesareo? Assolutamente no: scoprire che il bambino è podalico non deve portare a conclusioni affrettate, perché c’è ancora tutto il tempo per ribaltare la situazione.
Esistono diversi metodi alternativi efficaci per “convincere” il bebè a fare la capriola in vista del parto, sebbene la presentazione podalica sia una delle indicazioni classiche al taglio cesareo. Riuscire a fare girare il bambino significa allontanare l’ipotesi di un intervento, con tutto quello che ne consegue: tempi di recupero e degenza un po’ più lunghi, alta probabilità di taglio cesareo anche per i futuri parti ed emozioni meno intense rispetto al parto naturale.
Se dopo la 33a settimana per una primipara, o la 35a, per una donna che ha già partorito, il bambino non si è ancora girato si può provare a stimolarne la versione con la moxibustione. Questa metodica non è invasiva ed è di semplice esecuzione: una volta imparata la tecnica, la futura mamma può addirittura eseguirla da sola a casa. La Moxibustione, detta anche Moxa, è una pratica antica della medicina cinese, parte dal presupposto che il corpo sia attraversato da meridiani, cioè linee di scorrimento dei flussi energetici. Lungo queste linee si trovano dei punti che possono essere stimolati attraverso la puntura con aghi (agopuntura), il calore (moxibustione) o la pressione. Lo stimolo viene trasferito attraverso il meridiano in altre regioni del corpo, liberando in tal modo eventuali blocchi energetici presenti, con effetti terapeutici. Le strategie della medicina tradizionale cinese vengono proposte anche per provare a far cambiare posizione a un feto podalico.
Come agisce
La Moxibustione si basa sulla sollecitazione degli stessi punti dell’agopuntura, solo che invece di utilizzare gli aghi, la stimolazione avviene scaldando dei punti particolari. Il calore è generato dalla combustione di un’erba, l’artemisia vulgaris, pressata e arrotolata in carta di gelso, in modo da produrre calore senza fare fiamma. In farmacia si trovano comodi stick già pronti, da impugnare come una penna e tenere a circa 1 cm dal punto indicato, in modo che il calore percepito sia persistente, ma non spiacevole. Il punto da sollecitare per indurre il bambino a girarsi si chiama BL67 (vescica 67) e si trova all’angolo esterno dell’unghia del mignolo di entrambi i piedi, da trattare tutti i giorni per almeno 15 minuti. Il trattamento completo dura due settimane, ma già dopo sette giorni è possibile che il bambino si sia girato: se l’ecografia lo conferma, s’interrompe il trattamento, altrimenti si prosegue per un altra settimana, al termine della quale, in ogni caso, va sospeso. La Moxa non ha controindicazioni e, secondo ricerche condotte in Cina, ha successo in tre casi su quattro. Gli studi realizzati in Occidente hanno dato risultati meno eclatanti, ma comunque sufficienti per ridurre la necessità di ricorrere a tecniche più invasive, come il rivolgimento effettuato con manovre esterne.
- In contemporanea con la Moxibustione, intorno alla 33a settimana, ci si può aiutare con esercizi posturali da eseguire a casa. Si tratta di assumere per 10-15 minuti al giorno alcune posizioni: le più efficaci sono quelle che inducono la flessione della colonna vertebrale, creando spazio e favorendo la mobilità del bambino nel pancione. Sono esercizi semplici, ma sono sconsigliati a chi soffre di mal di schiena. È comunque importante che almeno le prime sedute vengano seguite sotto la supervisione di un’ostetrica esperta o di un personal trainer specializzato in gestazione.
1 In ginocchio, cercare di portare le spalle a terra, spingendosi in avanti con il tronco in maniera di aprire di più il bacino.
2 Mettersi carponi, lasciando il pancione “a penzoloni” per alcuni secondi. È la posizione del gatto nello Yoga.
3 Mettersi sdraiate supine, con due cucini sotto il bacino, in modo che questo risulti più alto del torace e crei spazio in basso.
Tutti questi esercizi servono a sollevare il podice del bambino e indurlo a girarsi grazie alla forza di gravità.
Se Moxibustione e tecniche posturali non hanno sortito l’effetto sperato e il piccolo non intende fare la capriola, dalla 37a settimana e fino a una settimana prima del termine, è possibile tentare il rivolgimento per manovra esterna. Si tratta di una manovra ostetrica che richiede il rispetto di alcuni parametri prima di essere intrapresa. La condizione principale è la quantità di liquido amniotico: se i valori del liquido sono inferiori alla media è inutile provarci. Inoltre, il rivolgimento è del tutto sconsigliato se si sono già rotte le membrane, se la placenta è previa o se l’esito del tracciato cardiotocografico dà segni di sofferenza fetale.