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Le donne con artrite reumatoide rischiano un parto prematuro. L’artrite reumatoide è una malattia cronica infiammatoria che porta alla degenerazione delle articolazioni. Si tratta di una delle malattie autoimmuni più diffuse (8 volte più della sclerosi multipla), più frequente nelle donne (rapporto 4 a 1). In Italia si stimano circa 300 mila casi.
Dolore e stanchezza
L’impatto sulla qualità di vita è considerevole: dolore alle articolazioni, rigidità mattutina, stanchezza, fatica di affrontare la giornata con l’eventualità di una disabilità permanente possono comportare cambiamenti significativi nello stile di vita. La diagnosi precoce è fondamentale, soprattutto per le donne in età fertile. Secondo una ricerca condotta in Danimarca le donne in gravidanza con artrite reumatoide rischiano un parto prematuro, sia nella fase iniziale della malattia, alla comparsa dei primi sintomi, sia in quella avanzata. Queste donne hanno quasi il doppio delle probabilità di partorire prima del termine della gravidanza e, quindi, dare alla luce bimbi più piccoli. Dei 2 milioni di bimbi analizzati, più di 13 mila erano nati da mamme con artrite reumatoide: pesavano 87 grammi in meno rispetto a quelli nati da donne sane e la placenta era più piccola.
Sempre più prematuri
A oggi, nel mondo, circa 15 milioni di bambini all’anno nascono prematuri, cioè prima della 37a settimana: mezzo milione in Europa e 50 mila in Italia (circa il 7% di tutti i nati). Di questi, l’1% ha un peso inferiore a 1.500 grammi e il 6,2% pesa tra 1.500 e 2.500 grammi. La frequenza del parto prematuro è aumentata negli ultimi anni e tende ancora a crescere. Diverse le cause: stili di vita delle mamme, malattie della gravidanza (ipertensione, patologie alimentari, infezioni), aumento dell’età media delle gestanti e aumento delle gravidanze medicalmente assistite. Ora sappiamo che anche le donne con artrite reumatoide rischiano un parto prematuro. Diminuire il numero dei nati pretermine è una delle grandi sfide sociali di questi tempi, dichiarano gli specialisti della Società italiana di neonatologia. Gli autori dello studio invitano, quindi, ostetrici e ginecologi a considerare i segnali della malattia nelle donne in gravidanza.