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A una donna su 10 capita di avere un parto oltre termine, ovvero oltre la 40a settimana, senza avvertire alcun segnale di avvio del travaglio. Non è, comunque, il caso di preoccuparsi: basta affidarsi al proprio ginecologo che provvederà a tenere la situazione sotto osservazione con gli opportuni esami.
Come si calcola la data presunta del parto
La data presunta del parto si calcola ipotizzando che il concepimento sia avvenuto 14 giorni dopo l’inizio dell’ultima mestruazione. Si tratta quindi di un calcolo molto teorico e soggetto a errore, perché anche nelle donne con il ciclo regolare può accadere che l’ovulazione si verifichi più avanti rispetto alla metà esatta del ciclo. In sostanza per calcolare la data presunta del parto in modo “fai da te” basta aggiungere sette giorni alla data dell’ultima mestruazione e sottrarre poi tre mesi: per esempio, se il primo giorno dell’ultima mestruazione è stato l’11 novembre, aggiungendo 7 giorni si arriva al 18 novembre, e sottraendo poi tre mesi arriviamo al 18 agosto, considerata la data presunta del parto. Maggiore precisione sulla datazione della nascita si ottiene mediante la prima ecografia, ma anche in questo caso il termine può essere suscettibile di slittamenti. Ecco che cosa succede con un parto oltre termine.
Quando si parla di gravidanza protratta
Nelle gravidanze definite “a termine”, che sono la maggior parte, il parto avviene tra la 37a e la 41a settimana. Ad alcune future mamme, però, può capitare di arrivare alla 41a settimana senza avere avvertito alcuna avvisaglia di inizio travaglio, nessuna contrazione preparatoria (cosiddette di Braxton-Hicks). Quando la futura mamma arriva alla 42a settimana di gestazione o oltre si parla di gravidanza “protratta” e di parto oltre termine.
Che cosa è la gravidanza biologicamente protratta
È necessario distinguere due tipologie di gravidanze “protratte”: quelle “biologicamente” e quelle “cronologicamente” protratte. Le prime sono le vere gravidanze protratte e vengono definite “biologicamente protratte” perché risulta prolungata sia l’età gestazionale (cioè il calcolo della durata della gestazione effettuato a partire dall’ultima mestruazione), sia l’età concezionale (cioè il calcolo effettuato a partire dal concepimento).
Che cosa è la gravidanza cronologicamente protratta
Nelle gravidanze “cronologicamente protratte”, invece, risulta aumentata solo l’età gestazionale: questo accade soprattutto a donne con cicli lunghi rispetto ai 28 giorni di media o irregolari, che hanno avuto un aborto o che hanno sospeso l’assunzione della pillola anticoncezionale, nelle quali l’ovulazione può avvenire anche diversi giorni dopo il 12-14° giorno dall’inizio della mestruazione, generalmente considerati i giorni tipici per l’ovulazione e quindi idonei al concepimento. In questo caso il protrarsi della gestazione è solo apparente.
Quali sono le cause del parto oltre termine?
I motivi per cui il parto va oltre il termine rispetto alla data presunta del parto non sono ancora noti. La predisposizione genetica gioca sicuramente un ruolo di primo piano: chi ha la mamma, la nonna o una sorella che hanno avuto un parto oltre termine, ha maggiori probabilità di vivere la stessa esperienza. Così come è molto probabile che una stessa donna partorisca oltre il termine più di una volta. Se si superano le 40 settimane più un giorno di gravidanze e ancora non si è percepito alcun cambiamento che possa far pensare a una predisposizione verso il parto, non ci si deve comunque preoccupare. Sarà il ginecologo a indicare gli esami da fare per tenere sotto controllo il benessere di mamma e bambino.
Servono controlli ravvicinati
A partire da 40 settimane e un giorno solitamente il ginecologo sottopone la futura mamma a controlli ogni due giorni. A partire dal termine della 41a settimana (41+0 giorni) e fino alla conclusione della 42a i controlli si fanno più ravvicinati e vengono prescritti quotidianamente. Di solito, poi, l’iter dei controlli finisce qui, perché generalmente se con l’avvicinarsi della 42a settimana il bimbo ancora non nasce, il parto viene indotto.
Ecco gli esami cui la futura mamma deve sottoporsi a partire dalla 40a settimana:
- cardiotocografia o tracciato cardiotocografico: si esegue appoggiando sul pancione un sensore collegato a un computer. Questo esame registra il battito cardiaco del piccolo e le contrazioni dell’utero. Ha una durata di circa 20 minuti;
- valutazione ecografica del liquido amniotico attraverso l’indice AFI: si divide idealmente l’addome materno in quattro quadranti e in ognuno si misura la presenza massima di liquido amniotico, dopodiché si fa la somma dei quattro quadranti. L’indice AFI è considerato normale se compreso tra 50 e 250 mm (o 5-25cm);
- valutazione ecografica della morfologia e della maturità della placenta: serve per valutare se la placenta è ancora in buona salute o se presenta segni di senescenza (vecchiaia), come aree scarsamente irrorate o deposizioni di calcio, che possono comportare una riduzione di apporto di ossigeno e di sostanze nutritive al nascituro, e quindi rappresentare un pericolo per il suo benessere fetale;
- valutazione del profilo bio-fisico fetale, ovvero del peso e delle dimensioni del bimbo: se il bambino arresta la crescita bisogna intervenire per espletare il parto perché significa che il feto ha effettivamente completato il suo sviluppo ed è pronto a nascere;
- flussimetria doppler: è una particolare ecografia semplice e rapida (dura 10 minuti) che indaga sullo stato di cordone ombelicale e placenta allo scopo di verificare che il piccolo, attraverso il flusso del sangue materno, riceva sempre il giusto ossigeno e nutrimento. Di solito viene effettuata nel corso di ogni ecografia a partire dalla 20a settimana.
Quando si fa l’induzione del parto oltre termine
Se verso la fine della 41a settimana (41 settimane + 5 giorni) la futura mamma non avverte ancora alcun segnale di inizio travaglio, solitamente il ginecologo le propone l’induzione del parto spontaneo, una prassi che molte strutture adottano.
Diversi metodi
Per indurre il parto inizialmente vengono effettuate somministrazioni di gel a base di prostaglandine all’interno del collo dell’utero. Se il travaglio non inizia, si può ricorrere alla rottura del sacco amniotico (se la dilatazione del collo uterino lo permette), in seguito alla quale vengono liberate dall’organismo materno grandi quantità di prostaglandine che stimolano le contrazioni. Oppure si può optare per la somministrazione alla mamma mediante flebo dell’ossitocina, l’ormone che induce l’utero a contrarsi fino a quando il bambino non viene alla luce. Nel caso in cui, effettuati tutti i tentativi ritenuti opportuni caso per caso dal ginecologo, il bimbo non ne vuole sapere di nascere, l’opzione ultima è il taglio cesareo.
Fonti / Bibliografia
- Contrazioni: quando è il momento di andare in ospedale? - Humanitas San Pio XCome distinguere le contrazioni da travaglio attivo da quelle della fase prodromica? Quando occorre andare in ospedale? Ecco tutti i segnali.