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Diminuisce, se pur a piccoli passi, il ricorso al parto cesareo in Italia. A rilevarlo è l’edizione 2014 del Programma nazionale esiti (Pne) sviluppato dall’Agenzia nazionale per i servizi sanitari (Arenas) per conto del Ministero della Salute. I numeri segnano un calo per il parto cesareo, che è passato dal 29% del 2008 al 26% del 2013, anche se rimane ancora molto evidente le differenze tra le regioni del nord Italia, con valori intorno al 20%, e le regioni del sud con valori prossimi al 40% e che, nel caso della Campania, arrivano al 50%.
I maggiori rischi del parto cesareo
L’Organizzazione mondiale della sanità sin dal 1985 afferma che una proporzione di cesarei superiori al 15% non è giustificata. Il parto cesareo rispetto a quello naturale comporta, infatti, maggiori rischi per la donna e il bambino e dovrebbe essere effettuato solo in presenza di indicazioni specifiche. Il regolamento del Ministero della Salute sugli standard quantitativi e qualitativi dell’assistenza ospedaliera fissa al 25% la quota massima di cesarei primari per le maternità con più di mille parti e 15% per le maternità con meno di mille parti.
Meno di 500 parti all’anno
Per quanto riguarda i punti nascita, dal Pne emerge che su un totale di 521 ospedali presi in considerazione, sono ben 133 quelli che fanno nascere meno di 500 bambini all’anno, un dato che dovrebbe far riflettere dal momento che il regolamento del ministero della Salute sugli standard quantitativi e qualitativi dell’assistenza ospedaliera rimanda all’accordo Stato Regioni che, già nel 2010, prevedeva la chiusura dei reparti maternità con meno di 500 parti annui. Le evidenze scientifiche sull’associazione tra volumi di parti ed esiti di salute materno-infantile mostrano, infatti, un’associazione tra bassi volumi ed esiti negativi.
Delle 133 strutture con meno di 500 nascite l’anno, 20 si trovano in Campania, 18 in Sicilia, 12 nel Lazio, 10 in Sardegna, 9 in Puglia, Veneto e Toscana, 8 in Emilia Romagna e Lombardia, 6 in Piemonte e Umbria, 4 in Abruzzo, nella provincia di Trento e nella provincia di Bolzano, 3 in Friuli, 2 in Basilicata e 1 in Calabria, Marche e Molise.