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L’induzione del parto, o parto indotto, è una pratica medica che ha l’obiettivo di avviare le contrazioni e quindi il travaglio. Può avvenire in diversi modi, a seconda delle condizioni cliniche della mamma e del bambino, del tipo di gravidanza e della settimana gestazionale. “Uno dei motivi per cui i ginecologi ricorrono a un’induzione del parto è quando si rende necessario far nascere presto il bambino, in assenza di controindicazioni all’induzione stessa o al parto vaginale” spiega la dottoressa Floriana Carbone ginecologa responsabile della Pelvic Unit Policlinico di Milano. “Questo succede, per esempio, quando sussistono dei rischi per la madre o per il bambino a proseguire la gravidanza”. Nonostante si tratti di una pratica sicura, il personale medico effettua l’induzione del parto solo in presenza di determinate indicazioni cliniche, affinché il travaglio e di conseguenza il parto avvengano in sicurezza.
Durata del parto indotto
L’induzione del parto ha una durata che dipende da diversi fattori, per esempio la settimana di gravidanza, la risposta del corpo della gestante che è personale e difficilmente prevedibile, il metodo utilizzato. In generale, l’induzione è più breve nei casi in cui la cervice uterina è più matura, condizione che avviene più facilmente verso la fine della gravidanza, dalla 39- 40a settimana in poi, oppure se la donna ha già avuto un parto vaginale.
In media, un parto indotto ha una durata di circa 12-24 ore che possono però diventare 24 nei casi in cui la cervice uterina non sia matura come può succede per una prima gravidanza in epoca gestazionale precoce. “Non è detto che la donna avrà le contrazioni per tutto questo tempo” assicura la ginecologa. “Inoltre, a travaglio iniziato, è possibile richiedere la peridurale, se la mamma lo desidera, proprio come succede in un travaglio senza induzione”.
Un timore diffuso tra le gestanti per le quali avviene l’induzione del parto, oltre alla durata, è il fatto che il parto indotto sia doloroso. In effetti, è possibile che l’avvio del travaglio in modo spontaneo possa essere meno doloroso, ma è vero che la percezione del dolore è soggettiva e anche diversa da un parto all’altro.
Quando è necessario effettuare il parto indotto
L’indicazione principale per cui un parto viene indotto è quando il termine di gravidanza è stato superato, ovvero a 40-41 settimane gestazionali e quando il travaglio non compare spontaneamente. Verso il termine di gravidanza, generalmente dalla 37-38esima settimana di gravidanza, si eseguono dei controlli periodici del benessere della mamma e del bambino, attraverso ecografie ostetriche e monitoraggio del battito cardiaco del bambino. “Anche in presenza di monitoraggi rassicuranti, una volta superato il termine di gravidanza, potrà risultare necessario programmare un’induzione del travaglio di parto, tra 40 e 41 settimane, a seconda della condizione clinica e l’età della mamma, il tipo di gravidanza e altri fattori”, chiarisce la dottoressa Carbone.
Induzione del parto prima del termine
Esistono dei casi in cui la gravidanza viene definita “a termine”, quindi dopo le 37 settimane gestazionali, che necessitano di induzione prima della data presunta del parto. Ecco quando può succedere:
- Se le membrane si rompono prima del travaglio. Nella maggior parte dei casi, le contrazioni e quindi il travaglio inizieranno in modo spontaneo nelle 24 ore che seguono la rottura delle membrane. In caso contrario, sarà necessario ricorrere all’induzione del travaglio.
- Quando il liquido amniotico è ridotto, una condizione chiamata oligoidramnios che può causare problemi al feto, quindi è opportuno far nascere il bambino.
- In caso di ipertensione gestazionale oppure pre-eclampsia, una condizione caratterizzata da ipertensione materna ed eventuali complicanze, tra cui la presenza di proteine nelle urine della donna, che può evolvere rapidamente in una situazione di pericolo per la mamma e il bambino. A seconda della serietà della condizione clinica della paziente, il parto dovrà anticipato rispetto al termine.
- Se si notano alterazioni della crescita del feto, in caso di scarso sviluppo (se il bambino non cresce abbastanza rispetto all’epoca gestazionale), oppure quando cresce troppo rispetto alle dimensioni del bacino materno, è opportuno effettuare l’induzione del parto.
I metodi per l’induzione del parto
Una volta stabilito che il travaglio verrà indotto, viene valutata la maturazione della cervice uterina attraverso il punteggio di Bishop. Questo score permette di capire quale sia la tecnica di induzione del travaglio più adatta caso per caso. La cervice uterina viene valutata dal personale ostetrico oppure dal ginecologo tramite la visita ostetrica, ovvero la visita interna. Le variabili descritte comprendono la lunghezza del collo dell’utero, la sua consistenza, la posizione, l’appianamento e la posizione stessa del feto.
“Una cervice poco matura sarà ancora chiusa e non appianata è posizionata posteriormente, ha una consistenza più rigida e la testa del feto è ancora alta nel canale” aggiunge la ginecologa. “Invece, una cervice matura, come spesso è oltre il termine di gravidanza, soprattutto nelle donne che hanno già partorito una volta, può apparire già più corta, dilatata di 1 o 2 centimetri, con una consistenza morbida. Nel primo caso il punteggio di Bishop sarà basso, mentre nel secondo elevato”.
A seconda quindi della maturazione della cervice, seguendo i protocolli ospedalieri, il personale medico deciderà il metodo di induzione più efficace per ciascuna donna. I metodi di induzione del parto sono di due tipi: farmacologici e non farmacologici. Si può ricorrere a uno dei due oppure a una combinazione.
Metodi di induzione non farmacologici
Scollamento delle membrane
Più che un metodo di induzione del parto vera e propria, lo scollamento delle membrane è considerata una manovra adiuvante per indurre il travaglio evitando quindi il ricorso a metodi farmacologici. Il ginecologo, con il dito esploratore, separa manualmente il sacco amniotico dai tessuti della cervice uterina. Questa manovra può portare al rilascio di prostaglandine naturali e così può iniziare il travaglio. La manovra può però essere fastidiosa per via della visita interna ma è del tutto sicura e il discomfort per la paziente viene meno una volta terminata la visita.
Amnioressi
Questa pratica consiste nella rottura meccanica del sacco amniotico con uno strumento simile a un bastoncino appuntino. Non si tratta di una manovra dolorosa, tuttavia può essere effettuata solo quando la cervice uterina ha già una certa dilatazione.
Palloncino o dilatatore meccanico
Prevede l’inserimento di un tubicino in vagina, fino a raggiungere il collo dell’utero. Il palloncino viene successivamente riempito di soluzione fisiologica ed esercita quindi una pressione meccanica sulla cervice uterina, favorendone la dilatazione. Il palloncino resta in sede per 6-24 ore, a seconda dei protocolli, quindi viene rimosso. “Il posizionamento può essere leggermente fastidioso” avverte la dottoressa. “Solitamente la donna avverte dei crampi simil-mestruali, che tendono ad attenuarsi subito dopo il posizionamento. Questo metodo viene scelto quando l’indice di Bishop è basso e quando le membrane sono ancora integre. La rottura delle acque è infatti una controindicazione”. Una volta rimosso il palloncino, qualora la dilatazione sia progredita, l’induzione prosegue con metodi farmacologici oppure tramite l’amnioressi.
Metodi di induzione farmacologici
Con prostaglandine
Si introduce in vagina una sorta di garza o fettuccia che contiene prostaglandine, che sono gli ormoni che vengono prodotti in modo naturale dal corpo della donna e che hanno l’effetto di far maturare la cervice uterina. L’ormone naturale utilizzato è dinoprostone. Mentre la fettuccia rilascia il farmaco, si esegue il monitoraggio cardiotocografico per controllare l’effetto delle prostaglandine e controllare il benessere del feto. La fettuccia può essere lasciata in sede fino a 24 ore, a seconda dei protocolli. Un’alternativa farmacologica alla fettuccina, sempre a base di prostaglandine, sono le compresse di misoprostolo. Anche in questo caso sarà necessario eseguire un monitoraggio del benessere fetale attraverso la cardiotocografia.
Con ossitocina
Per via endovenosa si somministra alla gestante ossitocina, in quantità graduale e via via crescente, per stimolare le contrazioni che avviano il travaglio. Nel frattempo, si effettua il monitoraggio cardiotocografico per controllare il benessere del bambino attraverso il suo battito cardiaco, oltre che per controllare che il farmaco faccia effetto attraverso la rilevazione delle contrazioni. “Questo metodo può essere utilizzato, per esempio, dopo la rimozione del palloncino, quando la cervice ha già una certa dilatazione, per far partire le contrazioni e quindi il travaglio vero e proprio.”
Rischi dell’induzione del parto
L’induzione del parto non è una metodica pericolosa, tuttavia, va eseguita solo quando secondo le linee guida e i protocolli locali sia realmente necessaria, ovvero quando i rischi nel proseguire la gravidanza superino i benefici.
- È bene inoltre ricordare che non sempre l’induzione funziona. Per diversi motivi può infatti capitare che le contrazioni non partano. In questi casi può essere possibile cambiare metodo di induzione oppure, in extremis, si ricorre al taglio cesareo.
- L’induzione può essere fastidiosa, ma è giusto ricordare che non appena il travaglio vero e proprio si instaura, è possibile ricorrere all’anestesia peridurale, qualora la paziente lo desideri, proprio come in un travaglio insorto “naturalmente”.
- Alcuni rischi dell’induzione includono un iperstimolo delle contrazioni, una condizione definita “tachisistolia”, come può succedere, per esempio, nel caso di somministrazione di ossitocina.
“Durante l’induzione è indicato il monitoraggio del benessere fetale costante oppure a intermittenza, attraverso la registrazione del battito cardiaco fetale con la cardiotocografia, soprattutto nel caso di induzione con metodi farmacologici” conclude la dottoressa Carbone. “Questo permette di intervenire tempestivamente nel caso si registrino segni di sofferenza fetale, per esempio interrompendo la somministrazione del farmaco”.
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In breve
Quando il travaglio e le contrazioni non si avviano in modo spontaneo, può essere necessario procedere all’induzione del parto. Questa pratica, regolata da linee guida, può utilizzare farmaci o avvenire in modo meccanico ed è opportuna anche se la gravidanza non è a termine ma il feto dimostra di essere in stato di sofferenza.