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I farmaci sono utili sia per indurre, cioè per provocare, sia per pilotare il travaglio, cioè per accelerare le contrazioni nel caso in cui esse siano troppo lente. Negli ospedali italiani, di norma, si induce il travaglio quando la gravidanza ha superato la 41ª settimana e tre giorni. Dopo questo termine, infatti, il liquido amniotico nel quale è immerso il piccolo potrebbe scendere al di sotto dei valori normali e causare problemi al feto. Si ricorre all’aiuto dei farmaci anche quando il bebè nel pancione è in uno stato di sofferenza, per esempio se durante le ultime settimane è cresciuto meno, o al contrario, troppo e, quindi, si prevede un travaglio difficile per la mamma.
Parto indotto
La somministrazione dei farmaci per indurre il parto può avvenire in diversi modi:
- inserendo in vagina le prostaglandine (sotto forma di ovuli o gel), sostanze naturali che stimolano la comparsa delle contrazioni;
- immettendo tramite flebo nel braccio della mamma l’ossitocina, un ormone che provoca le contrazioni;
- praticando la rottura artificiale (o amnioressi) delle membrane del sacco amniotico (nel caso in cui non si sia verificata in modo spontaneo. Si pratica inserendo in vagina uno strumento simile a un uncinetto per forare il sacco amniotico (la cavità che contiene il liquido nel quale è immerso il feto). Essa comporta la liberazione di prostaglandine (ormoni naturali), che in genere danno avvio al travaglio.
Parto pilotato
Si parla di parto pilotato quando il travaglio si avvia naturalmente, ma la dilatazione del collo (la parte inferiore) dell’utero è molto lenta: in questo caso, si ricorre all’utilizzo dell’ossitocina per intensificare e accelerare le contrazioni. A seconda del risultato ottenuto, la somministrazione del farmaco può essere aumentata, ridotta o sospesa nel corso del travaglio.