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L’utilizzo di forcipe e ventosa possono essere necessari durante la fase finale del parto, ovvero nel periodo espulsivo, per una serie di motivi, tra i quali la difficoltà del bambino a passare attraverso il canale vaginale materno. “L’applicazione di forcipe e ventosa possono avere delle conseguenze, sul bambino e sulla mamma”, spiega la dottoressa Ilma Floriana Carbone, ginecologa, responsabile della Pelvic Unit presso il Policlinico di Milano. “Quando si rende necessario il loro impiego e quindi si ricorre a questo tipo di metodiche, il parto viene definito operativo o distocico”.
Quando si ricorre al forcipe o alla ventosa, il parere della ginecologa
Forcipe e ventosa possono essere utilizzati nella fase espulsiva, quando le contrazioni sono intense, ravvicinate e la donna avverte il cosiddetto “premito”, ossia l’intensa necessità di “spingere”. Non sempre la fase espulsiva avviene però in modo regolare. Possono infatti verificarsi condizioni che rendono le spinte inefficaci.
Per esempio può succedere per:
- Esaurimento delle forze materne, quando la donna è molto stanca e provata per il lungo travaglio
- Prolungamento o arresto del 2° stadio del travaglio, con contrazioni poco intense e distanziate tra loro. Anche la partoanalgesia per il parto indolore può a volte ridurre la percezione delle contrazioni e quindi la donna non avverte un bisogno intenso di spingere;
- “L’utilizzo di questi strumenti, inoltre, può rendersi necessario quando il battito cardiaco del bambino monitorato durante il travaglio mostra segni di sofferenza fetale visibile al tracciato cardiotocografico” aggiunge la ginecologa. “Si rende allora necessario accorciare la durata del periodo espulsivo, applicando quindi la ventosa. È importante che il medico spieghi alla madre i rischi e le alternative a qualsiasi procedura che sta per essere eseguita”.
Le differenze tra i due strumenti
La ventosa è uno strumento utile per aiutare a portare a termine un parto difficoltoso, nella maggior parte dei casi senza sequele per il neonato. Il forcipe, ormai in disuso in Italia ma ancora utilizzato in Paesi come, per esempio, Inghilterra e Spagna, espone invece ad alcuni rischi perché comporta una pressione diretta sulle ossa ancora delicate della teca cranica del feto. La ventosa si può utilizzare quando la testa del bambino è già nel canale del parto e aderisce alla testa del neonato mediante aspirazione.
Forcipe
È il più antico strumento impiegato dagli ostetrici per aiutare la madre durante il parto e il suo uso risale al Seicento. È formato da due branche in metallo con i rispettivi manici. L’estremità delle branche ha la forma di un ovale arrotondato e, quando le due branche vengono accostate, si forma una sfera che circonda la testa del bambino afferrandola. Il forcipe è uno strumento che può essere usato solo dal ginecologo. Prima si introduce la branca sinistra tra la testina del piccolo e la parete della vagina della mamma. Quindi si inserisce anche la branca destra e si avvicinano le due parti, circondando il cranio del piccolo. Quando il medico si rende conto che la presa è abbastanza salda, delicatamente estrae il neonato.
In passato, l’uso del forcipe ha permesso di far venire alla luce bambini nonostante il parto fosse molto difficoltoso, ma il suo impiego non sempre semplice poteva anche lasciare segni permanenti sul piccolo. Non era infatti raro che le branche comprimessero troppo la testa del bambino e provocassero traumi cranici, emorragie, ferite ed ematomi al capo, al volto e alla testa del bambino, lesioni dei vasi sanguigni o del nervo facciale, con danni alla motilità dei muscoli del volto. Per questo motivo, nella pratica non viene più utilizzato in Italia.
Ventosa
La ventosa ostetrica (o vacuum extractor) è uno strumento abbastanza comune. Può aiutare infatti ad accelerare un parto che ha difficoltà a espletarsi mentre il piccolo dà segni di sofferenza fetale acuta. Entrata in uso negli anni Cinquanta del Novecento, è costituita da una coppetta in metallo o in plastica con i bordi arrotondati, che deve aderire alla testa del bambino e costituisce il sistema di ancoraggio. Una piccola pompa crea il vuoto all’interno della coppetta dopo che questa è stata applicata alla testina e, infine, il sistema di trazione costituito da un tubicino permette di estrarre il bambino dal canale del parto.
Anche la ventosa, come il forcipe, secondo le linee guida per il parto operativo, viene gestita solo dal ginecologo che posiziona la coppetta sulla sommità della testina del piccolo in un punto specifico chiamato “punto di flessione” in relazione alle fontanelle craniche. Quindi aziona la pompetta, creando il vuoto che fa aderire perfettamente la coppetta al capo del piccolo. Tirando delicatamente, estrae la testa del piccolo, quindi sgancia il dispositivo ed assiste alla nascita della bambino con la fuoriuscita del resto del corpo.
I rischi dell’uso della ventosa secondo la dottoressa Carbone
L’applicazione della ventosa può causare qualche piccola conseguenza, del tutto transitoria. La coppetta sulla testa del piccolo esercita una trazione che può provocare un cefaloematoma, ossia un piccolo versamento di sangue, che forma come un bernoccolo sul cuoio capelluto. Il cefaloematoma però si riassorbe spontaneamente nel giro di qualche giorno, senza necessità di cure.
“Generalmente, in caso di applicazione di ventosa ostetrica, il neonato viene subito visitato dai pediatri che sono avvisati in tempo e presenti in sala parto, per accertarsi che goda di buona salute” spiega la ginecologa. “Per la mamma, viene consigliata una valutazione del pavimento pelvico dopo almeno tre mesi dal parto, per accertarsi che la ventosa non abbia creato una disfunzione dei muscoli del pavimento pelvico, che potrebbe richiedere una riabilitazione”.
Controindicazioni all’uso di forcipe e ventosa
Alcune condizioni possono costituire controindicazioni all’uso della ventosa e ancora di più del forcipe. Ecco quali sono.
- Non deve essere un parto pretermine: la gravidanza deve essere di almeno 37 settimane. Non si può infatti applicare la ventosa su bambini nati prematuri, poiché per questi piccoli potrebbe trattarsi di una pratica troppo invasiva.
- Non ci deve essere sproporzione feto pelvica: il bambino non deve essere cioè troppo grosso rispetto al bacino della madre. Le ecografie eseguite durante la gravidanza forniscono le informazioni sufficienti in merito.
- Si devono escludere malattie del sangue e della coagulazione del bambino che deve nascere.
- La testa del piccolo deve essere scesa nel canale del parto e risultare “impegnata”, ovvero al livello delle spine ischiatiche.
- Le membrane devono essere rotte e la vescica della madre deve essere vuota.
- La presentazione e la posizione del feto devono essere note e in particolare la presentazione deve essere cefalica.
- La mamma deve essere a dilatazione completa, ovvero il collo dell’utero deve avere raggiunto i 10 centimetri di dilatazione, necessari per introdurre agevolmente la ventosa.
Talvolta è necessaria l’episiotomia
Quando si rende necessario l’impiego della ventosa può essere necessario effettuare l’episiotomia. Questa consiste in un piccolo taglio in anestesia locale con una forbice chirurgica adeguata, che ha lo scopo di allargare l’ingresso della vagina per consentire di introdurre la coppetta della ventosa senza lacerare i tessuti della donna, e prevenire soprattutto l’insorgenza di lacerazioni spontanee dello sfintere anale. A volte l’episiotomia viene eseguita anche quando non si deve impiegare la ventosa, per evitare che la testa del bambino, premendo sul perineo (che si trova tra la vagina e l’ano), provochi lacerazioni profonde dei tessuti in questa zona.
In breve
Forcipe e ventosa sono strumenti che possono rendersi necessari in caso di parto operativo, se il bambino non riesce a progredire lungo il canale vaginale della madre. Entrambi vanno applicati dal ginecologo, ma in Italia il forcipe non si usa più.