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Il parto dovrebbe essere uno degli eventi più felici nella vita di una coppia. Purtroppo, invece, non sempre le cose vanno come dovrebbero e talvolta possono verificarsi delle complicanze. Anche in Italia, uno dei primi Paesi al mondo per qualità dell’assistenza perinatale.
Una delle complicazioni più comuni è costituita dall’emorragia post partum che avviene durante il secondamento. Per ridurre il rischio, alla Clinica Mangiagalli della Fondazione Ca’ Granda Policlinico di Milano è stato avviato un modello organizzativo apposito, il primo in Italia.
Può portare alla morte della mamma
Una certa perdita di sangue dopo il parto è assolutamente normale. Serve, infatti, per pulire l’utero da tessuti, residui di placenta e liquido fetale. Anche durante il parto è normale che fuoriesca del sangue a causa del distacco della placenta.
Se, però, le perdite diventano consistenti, superiori ai 500 millilitri, si può verificare una vera e propria emorragia post partum, un’evenienza molto pericolosa che può causare abbassamento della pressione, tachicardia e perdita di sali minerali. In alcuni casi può portare anche alla morte della mamma.
A rischio parti prolungati e difficoltosi
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, circa una donna su 10 è colpita da emorragia post partum, che è responsabile del 25% di tutte le morti materne durante il parto. Alla base possono esserci tante cause diverse:
- un parto prolungato;
- un bambino corpulento;
- parto gemellare;
- la presenza di residui di placenta;
- una lacerazione dei tessuti;
- alterazioni nella coagulazione del sangue.
Si riduce l’afflusso di sangue all’utero
Il nuovo protocollo avviato nell’ospedale milanese prevede il ricorso, quando la mamma è ancora in sala parto, a particolari tecniche di “embolizzazione” o di arresto di flusso sanguigno dell’arteria uterina, che sono in grado di trattare nel modo migliore un’eventuale emorragia che dovesse verificarsi durante il distacco della placenta che segue al parto.
“Nelle ore successive, quando le probabilità di emorragia si riducono, l’utero viene nuovamente irrorato, grazie per esempio all’utilizzo di una sostanza “embolizzante” composta di un materiale che si riassorbe spontaneamente nel tempo” hanno spiegato i medici della Clinica Mangiagalli.
Meno rischi di trasfusioni e rianimazione
I risultati ottenuti fino a oggi sono incoraggianti. Il nuovo modello, infatti, ha permesso di ridurre le perdite di oltre il 50% e anche la necessità di trasfusioni. “In un anno della sua applicazione in nessun caso si è dovuto ricorrere all’asportazione dell’utero per arginare l’emorragia e per nessuna partoriente è stato necessario il ricovero in rianimazione” hanno chiarito gli esperti.