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A che settimana si inizia il corso pre-parto?
Rientra tra le cose da chiedere al ginecologo prima del parto. Di norma ci si iscrive nel secondo trimestre. I corsi pre-parto sono utili per diverse ragioni. Innanzitutto perché permettono alla donna di essere informata su ciò che la aspetta. È un vantaggio non da poco poiché essere consapevoli di quello che succederà in sala travaglio e in sala parto aiuta a ridurre l’ansia e la paura che inevitabilmente si provano in quei frangenti e a gestire meglio il dolore. Durante il corso, inoltre, gli esperti insegnano alle gestanti le tecniche di respirazione e rilassamento che possono tornare utili per contrastare il dolore delle contrazioni e accelerare la fuoriuscita del bebè. Alcuni corsi propongono anche delle attività fisiche utili a rinforzare i muscoli coinvolti al momento del parto. Non bisogna dimenticare, poi, che seguire lezioni di questo tipo permette di conoscere altre donne in attesa e, dunque, di condividere dubbi, paure e gioie e di scambiarsi consigli e suggerimenti. Un beneficio psicologico non indifferente durante un periodo delicato come la gestazione.
Come si fa a capire quando inizia il travaglio?
Una donna incinta può avvertire contrazioni più o meno sporadiche e più o meno intense già a partire dal quarto-quinto mese di gravidanza. Tuttavia, si tratta di dolori ben diversi da quelli che preannunciano la nascita del bebè. Le contrazioni che compaiono prima del parto, infatti, sono in genere più dolorose, ravvicinate e regolari. Nella prima fase del travaglio, assomigliano ai dolori che accompagnano le mestruazioni e spesso si manifestano prima nella parte bassa della schiena per poi irradiarsi verso l’addome. Si associano a una tensione e a un indurimento dell’utero e della pancia, tanto che se la futura mamma di sdraia e spinge la punta delle dita sull’addome incontra una certa resistenza.
Quando si va in ospedale durante il parto?
È importante non correre in ospedale alla prima contrazione. In alcuni casi, infatti, si tratta di un falso allarme: nel giro di poco tempo tutto si blocca. Ma, anche nel caso in cui le contrazioni continuassero e si sospettasse un travaglio attivo, è bene non avere fretta. Il travaglio si compone di tre fasi, ma è solo l’ultima a portare alla nascita del bambino. La prima fase, detta anche periodo prodromico, è caratterizzata dalla presenza di contrazioni fastidiose e irregolari. Nella seconda fase, quella dilatante, le contrazioni diventano più regolari e dolorose e la cervice uterina (collo dell’utero) si dilata progressivamente. Infine, nell’ultima fase, quella espulsiva, le contrazioni diventano più frequenti, intense e prolungate, il dolore più forte, la dilatazione del collo dell’utero si completa e il neonato scivola nel canale del parto. Il periodo prodromico può durare anche parecchie ore: ecco perché fino a quando le contrazioni non si presentano sempre con lo stesso intervallo di tempo e non hanno sempre la stessa intensità è meglio rimanere a casa.
Come fare il travaglio a casa?
La donna può fare ciò che desidera: camminare per accelerare il travaglio e favorire la discesa del bambino nel canale del parto, riposarsi un po’ per recuperare le forze in vista del parto, farsi un bagno o una doccia caldi per alleviare i dolori e facilitare la dilatazione. L’importante è che si senta tranquilla e a proprio agio. Riuscire a vivere i primi periodi che precedono la nascita del bambino nell’intimità di casa propria invece che in ospedale. è un grande vantaggio dal punto di vista psicologico e fisico, perché si può godere della propria privacy, avere le proprie comodità e la massima libertà di movimento. L’ideale, dunque, sarebbe recarsi in ospedale nel momento in cui le contrazioni divengono accentuate e mantengono per un’ora consecutiva la stessa intensità e frequenza (comparendo ogni quattro-cinque minuti circa).
Quando andare in ospedale se si rompono le acque?
In alcuni casi, il primo segnale della nascita imminente è rappresentato dalla rottura del sacco amniotico, l’involucro che contiene e protegge il bebè. La mamma se ne accorge perché, in genere, avverte un rumore sordo, come un “toc”, e poi si trova improvvisamente bagnata (come se si fosse fatta la pipì addosso). La rottura delle acque non provoca dolore, ma non per questo va sottovalutata. Se il liquido è chiaro e inodore non c’è la necessità di correre subito in ospedale: non si può attendere tanto quanto nel caso delle prime contrazioni, ma c’è comunque il tempo per lavarsi e preparare le ultime cose. Se, invece, il liquido è scuro, bisogna recarsi con urgenza in ospedale perché significa che il bimbo è in sofferenza. Anche se si notano delle perdite di sangue è meglio andare subito in Pronto soccorso.
Come spingere durante il parto per non lacerarsi?
È uno dei timori più comuni nelle future mamme. È normale essere spaventate da ciò che non si conosce, a maggior ragione quando si tratta di un evento così importante come la nascita del proprio bambino, ma in realtà spingere sarà un gesto molto più spontaneo e naturale di quanto si pensi: a un certo punto, all’acme della contrazione, la donna comincerà a percepire questo bisogno, che diventerà via via più forte. Basterà dunque assecondare i segnali del corpo. E in ogni caso sarà l’ostetrica a guidare la donna, avvertendola quando può iniziare a spingere, ogni quanto e in che modo. In genere, anche se la partoriente può avvertire questa necessità prima, l’ostetrica dà il via libera solo quando la cervice uterina raggiunge la massima dilatazione, ossia 9-10 centimetri, e il bimbo si è ben incanalato. Nel caso in cui, nonostante le spinte, il bambino non scendesse, si può provare a cambiare posizione, per esempio mettendosi in piedi o accovacciate.
Cosa succede subito dopo avere partorito?
Se tutto è andato per il meglio, mamma e bambino possono finalmente abbracciarsi. In molte strutture, si permette un contatto precoce prolungato, prezioso per stabilire fin da subito un legame speciale. Nel frattempo la donna deve rimanere ancora in sala parto, distesa sul lettino, per completare il secondamento, ossia l’espulsione della placenta e degli annessi fetali (l’insieme di ciò che viene espulso in seguito al parto). Il personale medico sutura eventuali lacerazioni o il taglio dell’episiotomia, controlla che la pressione ritorni nella norma, verifica che non ci siano perdite eccessive di sangue e che l’utero si stia contraendo (per ritornare alle sue dimensioni normali e facilitare l’espulsione dei residui di placenta e degli annessi fetali), pulisce e disinfetta la zona. La mamma viene poi portata in una stanza adiacente alla sala parto dove, per legge, deve rimanere in osservazione per due ore; il bebè è, invece, sottoposto ai controlli di routine e al punteggio di Apgar.
Come stimolare il neonato ad attaccarsi al seno?
L’ideale è cominciare subito dopo la nascita. Gli studi condotti in proposito, infatti, hanno rilevato che nelle due ore dopo la nascita, mamma e bambino sono fisiologicamente pronti e predisposti per il primo contatto e la prima “poppata”. Passate le due ore, invece, subentrano un sonno ristoratore delle fatiche del parto nel piccolo e un calo dell’ossitocina (l’ormone dell’allattamento) nella madre: due fattori che possono ostacolare l’attaccamento al seno. La mamma che vuole sfruttare questa “finestra temporale” dovrebbe cercare un punto nascita favorevole all’attacco precoce al seno. Non tutte le strutture ospedaliere, infatti, promuovono questo approccio. Se non è possibile iniziare ad allattare subito dopo il parto, comunque, non bisogna preoccuparsi: ciò non impedirà di farlo di lì a poco. Ci vorrà solo un po’ più di pazienza per facilitare il primo contatto.