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Con il 40% dei parti cesarei (triplicati negli ultimi 20 anni), l’Italia si pone ai vertici della classifica europea. Mentre secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) in nessun Paese è giustificabile un numero di cesarei superiore al 15% del totale dei parti.
Ecco alcune linee guida dell’Oms che indicano i casi in cui il cesareo è davvero necessario:
- in presenza di un problema della mamma, per esempio un disturbo cardiaco, il diabete o la gestosi;
- se il bimbo non si presenta a testa in giù per nascere, ma con la faccia, un braccino, una spalla o i piedini;
- in caso di distocia, cioè di un’improvvisa interruzione del travaglio una volta che si è avviato (la dilatazione, invece di progredire, si blocca);
- se si sospetta che il bimbo sia troppo grosso rispetto al bacino della mamma (sproporzione feto-pelvica);
- in caso di placenta previa, cioè se quest’organo si posiziona all’imbocco dell’utero: in tale situazione, infatti, per il bambino sarebbe impossibile nascere;
- in caso di gemelli, tassativamente se uno dei due non è in posizione cefalica (cioè di testa);
- in caso di precedenti parti cesarei l’Oms consiglia ai medici di valutare attentamente la situazione e, in assenza di complicazioni, provare comunque a far nascere il piccolo con un parto naturale.
Due i tipi di anestesia per il parto cesareo
Il cesareo si può eseguire sia con l’anestesia generale sia con la spinale: si preferisce la prima nei casi urgenti, perché è più veloce, la seconda nei cesarei programmati perché ha rischi inferiori e consente alla donna di veder nascere il proprio bambino.
- Anestesia generale: comporta la perdita dello stato di coscienza e si effettua iniettando l’anestetico in vena. È utile quando si interviene con urgenza, ma ha lo svantaggio di lasciare la mamma più spossata rispetto alla spinale e di richiedere tempi di recupero più lenti;
- anestesia spinale: elimina la sensibilità al dolore dal bacino in giù e permette alla futura mamma di restare sveglia e assistere “in diretta” alla nascita del bambino. Il farmaco viene iniettato a livello lombare, cioè nella parte bassa della schiena, dall’anestesista, attraverso un ago collegato a un catetere (un sottile tubicino). In questa fase la donna può rimanere seduta sul lettino o giacere su un fianco.
Due le tecniche usate per il parto cesareo
Oggi il cesareo è eseguito con tecniche che lasciano cicatrici sempre più discrete. Ecco le più utilizzate:
- INCISIONE DI PFANNENSTIEL: si effettua con il bisturi e consiste in un taglio orizzontale di 10-15 centimetri all’altezza della parte superiore del pube al fine di estrarre dall’utero prima il bimbo e poi la placenta. Il ginecologo taglia gli strati della parete addominale, il peritoneo viscerale (una membrana che ricopre l’utero e la vescica), poi scolla la vescica con le forbici e la sposta, quindi arriva all’utero ed estrae il bambino. La sutura dell’utero è fatta a strati: prima si cuce la parete, poi il peritoneo riportando la vescica alla sua sede. Anche il tessuto addominale è chiuso a strati: la cute, infine, è suturata con punti in seta o metallici, da rimuovere dopo 5-7 giorni.
- METODO STARK (o cesareo dolce): questa tecnica, più innovativa, si effettua con un taglio minimo (circa 2 centimetri) sulla parete addominale, al di sopra del pube, con il bisturi e poi allargando manualmente le pareti muscolari lungo le loro linee naturali. Si estrae il bambino, poi si richiude l’utero con alcuni punti. La sutura dell’addome è fatta solo a livello della fascia sovramuscolare, mentre non si chiudono né il peritoneo viscerale né i muscoli addominali, che sono lasciati cicatrizzare in modo naturale. Nella tecnica originale descritta da Stark, sulla cute sono applicati tre punti in seta, da rimuovere dopo qualche giorno. Questa tecnica consente di effettuare l’intervento in circa 30 minuti, contro i 45 previsti dalla metodica classica. La novità sta nel fatto che si usano soprattutto le dita per scostare, divaricare e dilatare i tessuti, lasciando al bisturi un ruolo marginale. Anche i tempi di guarigione si accorciano mentre diminuisce la quantità di sangue persa durante il parto, rispetto alla tecnica tradizionale.
Le cure per la ferita del cesareo
Dopo l’intervento, la neomamma può rimettersi in piedi, se se la sente, appena terminato l’effetto dell’anestesia. Se non ci sono complicanze, le dimissioni avvengono dopo 4-5 giorni dal parto dopo una visita ginecologica di con-trollo. I punti della ferita vengono rimossi nel corso di questa visita o qualche giorno dopo.
Il medico fornisce, inoltre, alla neomamma tutte le indicazioni necessarie su come medicare la ferita da sola a casa. Una volta eliminati i punti esterni, la ferita è perfettamente chiusa, anche se può apparire ancora gonfia e di colore rosso scuro: con il passare del tempo, comunque, la cicatrice si noterà sempre meno, diventando quasi invisibile.
Ecco qualche utile indicazione per la disinfezione della ferita:
- nella prima settimana dopo il parto, pulire la cicatrice passandovi delicatamente una garza sterile imbevuta di euclorina (un disinfettante leggero) diluita nell’acqua.
- Asciugare la cicatrice con dolcezza, tamponandola con un asciugamano morbido e pulito, senza sfregare;
- ricoprire la ferita con una garza asciutta trattenuta da un cerotto per evitare che possa venire a contatto con i vestiti;
- cercare di non bagnare la ferita almeno per una settimana, evitando per esempio di immergersi nella vasca o di fare la doccia: meglio lavarsi a pezzi;
- non esitare a telefonare all’ospedale o al proprio ginecologo se si notano strani arrossamenti o secrezioni di liquido giallastro provenienti dalla cicatrice: potrebbe trattarsi di un’infezione;
- evitare di esporre la cicatrice al sole, potrebbe scurirsi in modo permanente per un processo di fissazione della melanina (un pigmento bruno presente nella pelle).
Con il secondo non è d’obbligo
Fino a una ventina di anni fa, al primo cesareo seguiva sempre il secondo. In realtà, l’intervento è necessario quando il primo era programmato e non c’è stato travaglio: il collo dell’utero è, infatti, impreparato al travaglio e potrebbero rendersi necessarie molte ore per la dilatazione, con il rischio di rottura.
Può essere necessario anche se sono passati meno di due anni dal precedente cesareo o in caso di gemelli. Negli altri casi il ricorso al cesareo è un’eventualità da valutare caso per caso.
In generale, si può tentare il parto naturale in occasione di una seconda gravidanza, anche se si deve essere pronte a ricorrere all’intervento. Un parto spontaneo dopo il cesareo deve avvenire senza l’uso né di ossitocina né di anestetici.
L’ossitocina, una sostanza che stimola il travaglio, potrebbe causare contrazioni intense e provocare la rottura dell’utero nel punto della cicatrice dovuta al parto precedente, mentre l’uso dell’analgesia (come l’epidurale) potrebbe impedire ai medici di accorgersi subito di una rottura dell’utero che richiede un intervento immediato.
A volte lo chiede la donna
Oggi in Italia 4 donne su 100 chiedono di partorire con il cesareo e il nostro Servizio sanitario nazionale lo riconosce come prestazione gratuita. Anche l’Organizzazione mondiale della sanità ammette il ricorso al parto cesareo nei rari casi in cui la donna manifesti un blocco psicologico totale verso il dolore del parto e una vera fobia per il parto naturale.
A chi vuole partorire assolutamente con il parto cesareo, tuttavia, i medici devono spiegare che si tratta comunque di un intervento chirurgico e che i rischi connessi, sia per la mamma sia per il bimbo, sono superiori rispetto a quelli di un parto naturale.
Nella maggior parte dei casi, infatti, le future mamme preferiscono il taglio cesareo per paura di soffrire troppo durante il parto o per comodità. Spesso hanno sentito parlare dell’intervento in termini positivi da amiche che lo hanno fatto e ne sono invogliate.
Punto fondamentale diventa perciò il dialogo con il medico per distinguere ciò che è ragionevole da ciò che non lo è. Fermo restando il diritto di scelta della donna, anche se la richiesta del cesareo non è giustificata da un’indicazione medica, per la gestante non è facile soppesare tutti gli elementi di valutazione.
Fonti / Bibliografia
- World Health Organization (WHO)The United Nations agency working to promote health, keep the world safe and serve the vulnerable.
- https://apps.who.int/iris/bitstream/handle/10665/161442/WHO_RHR_15.02_ita.pdf